Un piccolo
taccuino di appunti che annoda cinema, libri, fotografie, Thomas
Bernhard e Thelonious Monk, un po’ improvvisato perché “si
tratta di jazz, dopotutto”, si rivela un breve vademecum al senso
di Don DeLillo per l’arte, a partire dal richiamo classico per cui
“la radice greca della parola estasi
contiene un’accezione di terrore, follia, spostamento”. L’essenza
di Contrappunto si può
concentrare per intero in questa frase, che coglie la natura di
quello che è “l’artista nell’idiosincrasia e nell’isolamento”,
senza differenze rilevanti tra Il soccombente
di Thomas Bernhard (“Una prosa tanto inesorabile nel suo tendere
verso un’idea fissa da raggiungere talvolta il livello di un
delirio autodistruttivo”) o un combo di jazzisti in una vecchia
fotografia in bianco e nero. E’ il tema che ritorna, mentre il
senso del Contrappunto
si srotola nelle divagazioni dell’osservazione, perché la sfida di
Don DeLillo, anche in questo frammentario contesto, è nel ricordare
che “il narratore consegna cronache esplicite di infelicità,
malattia, follia, isolamento e morte. A tratti la narrazione accumula
strati di disprezzo, anche di sé, talmente compressi da divenire, in
un suo modo estenuante, comica. E intessuta nelle sue trame si annida
una cupa sensazione di temi e motivi che ricorrono nella mente”.
Contrappunto ci dice
come funziona il mistero, che resta comunque tale e Don DeLillo si
premura di precisarlo, “perché è questo che il genio fa.
Annichilisce la volontà altrui. Ma può anche indurre in chi lo
ammira un peculiare struggimento, un desiderio di fondersi con il suo
ambiente”. Solo che le controindicazioni e gli effetti collaterali
non sono elencati, non ci sono istruzioni per l’uso o codifiche
universali e le variazioni su tema portano a una domanda inevitabile:
“Ma cosa succede quando l’introspezione raggiunge un’intensità
tale da annullare il mondo circostante?” Don DeLillo anche nello
striminzito spazio di Contrappunto
prova a rispondere, un sforzo non indifferente, e temerario, e
sfarzoso nel suo (ben noto) eloquio, eppure ancora fallimentare
perché conduce da un punto interrogativo a un altro: “Si parte dai
gradi nei linguaggio, un senso di minaccia via via più profonda
espressa tramite i termini stessi. Introspezione, solitudine,
isolamento, ansia, fobia, depressione, allucinazione, schizofrenia.
Poi si passa ai referenti umani. Egli è libero dalle convenzioni;
oppure la sua umanità difetta di qualcosa; oppure: è intrappolato
in un contesto moderno viziato da una forma di straniamento che lo fa
sentire a disagio nel mondo; oppure: forse è un risultato della sua
educazione; oppure: è uno stramaledetto genio, lasciatelo in pace;
oppure: si tratta di una questione strettamente clinica, di chimica
cerebrale; o ancora: in realtà è una condizione naturale, un
terrore che sopravvive nel cervello antico, il cervello rettile,
oltre i confini inclinati di tutto ciò che gli ha accatastato
contro. Se conosciamo la risposta, allora la domanda è questa:
quanto possiamo avvicinarci all’io senza perdere tutto?”
Contrappunto non
risponde, non è possibile: si limita a suggerire qualche peculiare
motivo d’ispirazione, uno sguardo ancora curioso, una passione nel
frugare in dettagli infinitesimali, anche se poi Don DeLillo non
resiste alla tentazione di sfoderare un concentrato di analisi e ci
ricorda che “il mondo è un insieme di assunti progettati per
accogliere la propria introversione”. La definizione in sé può
anche essere esaustiva, solo che l’ambizione di Contrappunto
pare limitata a presentare un interrogativo di dimensioni più o meno
infinite con un’artificio subliminale, un fotogramma nascosto o il
fantasma di Charlie Parker che suona una frase stonata, fuori tempo,
eppure perfetta.
Non posso non complimentarmi con te per questa recensione, non sapevo del libro e cercherò di trovarlo visto che è del 2008, ormai sembra che i libri abbiano una scadenza come i cibi! Ma non credo che questo sia andato a ruba...
RispondiEliminamolto stimolante anche quello che scrivi sul libro di Gattis il cui argomento mi interessa particolarmente,
Infine grazie per la recensione di Città in fiamme, francamente speravo che ne scrivessi qualcosa per valutare se leggerlo o no...troppi altri libri mi aspettano :-)
ti auguro un buon fine settimana
Maria
Grazie a te. Contrappunto me l'ha regalato un amico ed è un piccolo libro, ma molto denso. Consiglio Giorni di fuoco, Città in fiamme è uno di quei romanzi che sembrano andare di moda oggi, lungo, prolisso e inconcludente, un po' come Il cardellino, per capirci.
EliminaCittà in fiamme non lo leggerò infatti ero già dubbiosa e dopo aver letto la tua recensione e quello che mi dici ora ne sono sicura, pensavo invece di consigliarti, se già non lo hai letto, "Gli ultimi giorni di Smokey Nelson" di Chaterine Maurikakis, secondo me merita,to the next
Eliminaerrata corrige: Mavrikakis
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