domenica 15 maggio 2016

Charles Willeford

Miami è una città perfetta per ogni playboy che si rispetti. La percentuale di donne disponibile, almeno sentendo le discussioni dei personaggi di Charles Willeford, è tale che si può scommettere anche in quanti minuti ci si procura un’occasione, e la si consumi. Una scommessa, ecco il senso della vita dei Playboy a Miami, che Charles Willeford incide a chiare lettere già nell'incipit: “Tutto era iniziato come una specie di scherzo, ma quando si sono messi di mezzo i soldi non fu più divertente. Perché nei soldi, in fondo, non c'è mai nulla di divertente”. Il trucco c’è sempre e la vita notturna di quattro playboy di Miami si trasforma in un incubo quando per una stupida sfida si ritrovano in casa il cadavere di una ragazza. Sarà solo l’inizio di una storia densa e gravida di misteri che, nonostante il tono frizzante e il gusto per l’aforisma di Charles Willeford (per dire: “Il rumore di un colpo di pistola assomiglia esattamente al rumore di un colpo di pistola, e a nient'altro. Ma la maggior parte della gente non lo sa”) apre uno squarcio spietato sulle solitudini umane. Ed eccoli qui, i Playboy a Miami: Eddie Miller, Don Luchessi, Hank Norton e Larry Dolman, quattro lestofanti con le loro piccole vite, le loro ambiguità e, in fondo, le loro disperazioni a caccia di emozioni nelle strade di Miami. Forse dipende dal clima, che passa dall’afa al ciclone, in un attimo. Forse dipende dalla natura di Miami, in bilico sulla sabbia, tra un oceano e l’altro. Forse dipende dal fatto che è un luogo di frontiera senza averne le sembianze, ma anche una terra di nessuno dove un gioco idiota si trasforma in un intreccio sordido e pericoloso, dove un’arma è soltanto una virgola tagliente prima del disastro successivo perché, come dice uno dei playboy, “l'idea di comprare una pistola è una cosa; acquistarne veramente una, possederla e tenerla in mano è un’altra, è un passo oltre una linea divisoria che ti trasforma in un tipo di uomo diverso”. Bisogna ricordare che siamo negli Stati Uniti dove il diritto di avere un’arma è inviolabile e Charles Willeford, non a caso amatissimo da Quentin Tarantino e compagnia bella, costruisce una storia cupa e nerissima incollando un particolare dopo l’altro, sicuro che sono i dettagli a fare la storia (come l’adesivo che, a proposito di armi, qui non del tutto relative, recita: “Quando le armi sono fuorilegge, solo i fuorilegge hanno le armi”) almeno quanto la casualità che segue i personaggi. Pur senza il suo loser principale, il buon vecchio Hoke Moseley, Charles Willeford tira fuori un romanzo che continua a camminare sul filo del rasoio, in una zona d’ombra dove giorno e notte, vittime e colpevoli, vita e morte non riescono a distanziarsi e sono confuse in una città brulicante di casi umani e la cui morale, se proprio deve esisterne una, coincide con il suo clima: è così caldo che per capire gli uragani gli devono dare un nome. E’ la stessa atmosfera che si respira seguendo questi Playboy a Miami: torrida, umidiccia, sporca e irrespirabile.

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