Le
responsabilità cominciano nei sogni anche per chi, come Joseph, ha
vissuto di “cose semplici, che comunque gli avevano riempito la
vita, e che conosceva così nell’intimo che lo prendeva il panico
all’idea che potessero venire spazzate via come nuvole”. Da una
parte è rimasto con la fattoria della famiglia, troppo piccola per
offrire una qualche garanzia e troppo grande per essere mandata
avanti da solo, perché “c’era poco da ricamare teorie quando si
doveva mandare avanti una fattoria: si era sempre sul limite della
sussistenza, e per di più si faceva parte di un passato, di un modo
di esistere sulla terra che stava scomparendo”. Dall’altra, cerca
di propinare la passione per la letteratura nella sperduta landa del
Michigan dove, “nel corso dei suoi lunghi anni di insegnamento,
Joseph era arrivato a pensare che l’analfabetismo non fosse un gran
male, se l’unica carta stampata disponibile consisteva in notizie
sportive, bollettini sul bestiame, fumetti e idiozie assortite”.
Per lui, che adora John Keats, Emily Dickinson, Walt Whitman, arriva
proprio in quel momento la certezza che “la vita, in rare
occasioni, può offrire qualcosa all’altezza dell’immaginazione”.
Un giorno intreccia una relazione con una studentessa, Catherine,
figlia di un veterano e lì l’imprevedibile prende forma nella
constatazione che “la gente non si innamora perché c’è un
motivo. Quando capita, capita”. Davanti a Joseph si spalanca un
bivio affollato dal fantasma di Orin, il migliore amico scomparso in
una delle guerra americane, dalla lunga e indefinita relazione con
Rosaelee, che lo aspetta da una vita, dai consigli del suo dottore,
dall’intervento del maggiore, il padre di Catherine,
dall’apprensione della sorella Arlice e, più di tutto, dalla
dimensione della smalltown dove non si può nascondere nulla e ognuno
ha il proprio bravo fardello di sotterfugi, di ferite e di rimpianti.
La grazia di Jim Harrison nell’avvicinare i suoi protagonisti trova
in Joseph il cardine ideale, anche per parecchi spunti
autobiografici. Se l’uomo si considera come l’unico mammifero che
è parte di una specie, la dimensione riflessiva, qui rappresentata
anche dall’elemento onirico, è la sua caratteristica dominante.
Solo in mezzo alla natura, a caccia e a pesca, Joseph (e Jim
Harrison) trova la sua dimensione che viene sottolineata
dall’incognita di un coyote, guardingo e inafferrabile nella sua
selvatica bellezza. Non a caso, il viaggio che conduce al finale, una
gita scolastica a Chicago, è un segnale palese: soltanto fuori dai
confini della contea, lontano dagli sguardi e dalle impressioni, le
decisioni potevano essere consumate. Il romanzo si risolve lì e il
racconto, che rimane sospeso, in equilibrio, come è giusto che sia, è stato riassunto da Richard Brautigan
così: “Una storia d’amore forte e tenera, che parla di un uomo
davanti alla grande scelta che muterà per sempre la sua vita. I
personaggi sono così reali, che spesso i miei occhi si sono riempiti
di lacrime di fronte alla loro insicurezza, alla loro umana
impotenza”. E’ Jim Harrison, naturale al 100%.
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