mercoledì 17 agosto 2016

Raymond Carver

Raymond Carver è il suo mondo e allora cosa si può trovare nelle fotografie di Bob Adelman che non c’è nelle sue storie? Da Yakima a Port Angeles, Carver Country è tutto un paesaggio d’acqua: i fiumi, le dighe, i ruscelli, i laghi sono una presenza costante, insistente tanto che nella corrispondenza con Bob Adelman, Raymond Carver scrive: “Sarei in grado di mettere una didascalia o di scrivere qualche riga su ogni punto di quel fiume che tu volessi fotografare”. In realtà le indicazioni di Raymond Carver a Bob Adelman sono tutt’altro che precise, visto che deve frugare nella memoria in cerca di luoghi e tormenti che si è lasciato alle spalle e la sua immagine da bambino con canna e lenza, all'inizio di Carver Country riporta a quello che diceva Thomas McGuane: “La pesca è una situazione in cui le valenze emotive sono immediatamente dipendenti dal loro contesto”. Con tanta di quell’acqua a due passi da casa (e qui parafrasando un titolo da Di cosa parliamo quando parliamo d’amore) la vicinanza non ha nulla di mistico, metafisico o ecologico, ma deriva da un legame intimo e delicato, a cui in effetti risponde Carver Country perché per Raymond Carver vale ancora la precisazione di Thomas McGuane: “La pesca mi ha innanzitutto insegnato a osservare i fiumi. Ora mi sta insegnando a osservare le persone, me compreso”. L’acqua è l’elemento determinante degli anni felici di Raymond Carver e Carver Country riesce a raccontare un crepuscolo intenso e fortunato, che forse soltanto le immagini potevano mostrare. Un mondo semplificato e concentrato su pochi amici sorridenti (Richard Ford, Ann Beattie e Jay McInerney tra gli altri), una gamma selezionatissima di interessi, l’essenza della scrittura che, tra “un po’ di autobiografia e un sacco di immaginazione”, trova e mostra in Carver Country quei “punti di riferimento nel mondo reale” che Bob Adelman identifica in una cassetta della posta, nelle mani nere di uno spazzacamino, nell’impronta dentale di Tess Gallagher, in un’insegna, in un dipinto di Alfredo Arreguin, nella sua macchina da scrivere (da tutte le prospettive), in uno o due taccuini, nella neve, nella musica creata dai torrenti, nei volti. La luce, il bianco e nero, le geometri nitide dimostrano che Bob Adelman ha capito quello che Raymond Carver diceva in Il mestiere di scrivere: “In una poesia o in un racconto si possono descrivere cose e oggetti comuni usando un linguaggio comune ma preciso e dotare questi oggetti, una sedia, le tendine di una finestra, la forchetta, un sasso, un orecchino, di un potere immenso, addirittura sbalorditivo”. E’ per quello che, anche se Carver Country funziona come una spicciola antologia con frammenti editi e inediti, la sensazione, fotografia dopo fotografia è, come diceva Tobias Wolff in La nostra storia comincia, quella di sentire “il rumore di qualcuno che si muove per la casa, un estraneo”. Bob Adelman si è introdotto proprio così nel Carver Country, con la discrezione di un’ombra al tramonto, con lo scrupolo di un topografo e con la percezione precisa e insieme sfuggente del dettaglio di un songwriter, concentrando sulla pellicola quella definizione dei racconti di Raymond Carver che, secondo Marylinne Robinson, “creano significato per tramite della forma”. L’intensità dello sguardo di Raymond Carver, dietro la sigaretta, dice tutto. Il viaggio è negli occhi, lo è sempre stato. 

Nessun commento:

Posta un commento