martedì 30 dicembre 2014

Harry Crews

Gli effetti dell’arrivo di Too Much nel villaggio di roulotte e caravan chiamato Vita Serena sono quelli di una reazione chimica: come iniettare una massa adrenalina impazzita in un cuore addormentato. L’imprevedibilità di Celebration s’impenna pulsazione dopo pulsazione, anche per via della peculiare condizione degli ospiti. Vita Serena è occupato da anziani che vagano come ombre, e sappiamo bene che non è un paese (e nemmeno un mondo) per vecchi. La routine  è parecchio modesta e a Vita Serena vige una calma piatta, grigia e crepuscolare ovvero “come diceva Janis Joplin: altro giorno, stessa merda”. E’ una palude in cui le vite sono sospese tra un nulla e l’altro. Too Much è il sasso che increspa la superficie dell’acqua e appare incontenibile perché parte dal presupposto che “il tempo è passato e ha rovinato questo. Il tempo è passato e ha rovinato quello. Il tempo è una cagata. E la morte è una cagata finché non muori”. Il primo ad esserne affascinato e poi travolto è Stump alias Bubba, un reduce della guerra di Corea, mutilato, che gestisce il Vita Serena e che adotta Too Much, quando si presenta sulla sua soglia. Too Much è poco più di una bambina  che si manifesta con tutta se stessa, a partire dal corpo. L’espressione della fisicità, e della sessualità, uno dei temi ricorrenti dei romanzi di Harry Crews, è il preludio all’escalation di mosse che portano Too Much a ribaltare il tran tran di Vita Serena, cominciando un modo molto (molto) creativo di usare il moncherino di Stump.   Tutto perché secondo Too Much “la noia era imperdonabile in un mondo in cui esisteva palesemente la possibilità dell’occasione assoluta”. Non è chiaro cosa rappresenti quest’ultima definizione, ma è proprio attraverso la propagazione dell’idea di una “possibilità dell’occasione assoluta” che il parcheggio è attraversato da una serie di miracoli, non tutti destinati a un lieto fine, perché “le vie convergenti del caso” (indispensabile corollario della “possibilità dell’occasione assoluta”) non sono così logiche. Johnson Meechum, che passava le giornate sparando nel fango, riscopre la moglie Mabel, Justice abbandona alle ortiche la servizievole identità da pronipote di schiavi e riscopre il passato prossimo di pugile e Ted Johanson, passati gli ottant’anni, ricorda di essere stato un boscaiolo capace di arrampicarsi sulla cima degli alberi e tutti tornano a rivelare le proprie arti e mestieri, dal falegname al borseggiatore. Con la sua esuberanza, Too Much manipola e indirizza e sprona, ma è come se soffiasse un ultimo alito di vita. Un concentrato esplosivo per gli anziani di Vita Serena, che si riscoprono ancora vivi, vegeti e utili ed è quello il problema perché “il mondo sa che cosa fare del dolore. Non ha mai saputo che cosa fare della felicità e dell’esultanza”. Episodio dopo episodio, Celebration si evolve come una specie di situation comedy urticante e sarcastica. Non è né bello né comodo: è sgraziato e contorto ma ha anche un fascino particolare nell’immaginare la metamorfosi di tutto un microcosmo di loser. Come direbbe Too Much: “Un tantino crudo, magari, ma onesto che di più non si può”. Proprio così. 

Nessun commento:

Posta un commento