sabato 2 agosto 2014

Carol Sklenicka

Senza ombra di dubbio, Raymond Carver meritava una biografia della dimensione di quella curata da Carol Sklenicka, che ha dedicato dieci anni ha setacciare voci, atti, ricordi per riorganizzarli in Una vita da scrittore. Un lavoro degno di “un poeta dell’inclusione, della vastità”, così come l’ha definito Salman Rushdie: Carol Sklenicka parte da lontano e dal cuore della storia di Raymond Carver, dalla sua famiglia, che somiglia a quella di tanti personaggi di Woody Guthrie o John Steinbeck, sempre in viaggio attraverso l’America in cerca di un lavoro e un’esistenza migliore. Sono le radici blue collar che gli procureranno la definizione di “cronista della disperazione proletaria”, quando si ritroveranno, parola per parola, nei suoi racconti. Ci vorranno ben due vite e Carol Sklenicka coglie bene i volti di Raymond Carver che ha vissuto una volta nell’alcol e un’altra per le storie. La distinzione non è così nitida, anche se Carver scrive metà dei suoi racconti prima del 1977 e l’altra metà dopo intrecciando fiction e realtà. Scriveva in Creditori: “Ogni giorno, ogni notte della nostra vita, ci lasciamo dietro pezzettini di noi stessi, scaglie di questo o di quello”. Nello stesso modo diceva in un’intervista, ormai sobrio: “Mi sono lasciato dietro una quantità terribile di macerie, desolazione e rovina”. Carol Sklenicka rende chiaro quel un processo di osmosi per cui tutti i risvolti autobiografici sono confluiti tutte nei suoi personaggi e lo chiama “miniaturizzazione di emozioni”. Una scrittura che Richard Ford ha definito “così distillata, così intensa, così scelta, così struggente nella sua urgenza” e che  John Gardner ha riassunto nel termine “inesorabile”. Molto è dovuto agli interventi chirurgici di Gordon Lish, l’ineffabile editor che ha ridotto le short stories di Raymond Carver al midollo a cui Carol Sklenicka dedica il giusto spazio, anche se poi emergono anche la predilizione per Anton Cechov, l’amicizia con Chuck Kinder e Tobias Wolff, il legame con John Cheever, gli incontri con Richard Yates, Charles Bukowski e James Crumley. L’aspetto stupefacente della biografia di Raymond Carver è la sua misurata distanza dagli avvenimenti storici, sociali e politici, come se fosse coinvolto soltanto dalle sue vite e da quelle dei suoi personaggi. Un profilo notato anche da William Kittredge che diceva: “La mia impressione è che fosse di gran lunga troppo intelligente e sensibile”. Difficile aggiungere qualcosa in più a quello che ha detto Stephen King: “Eccellente, meticolosa, palpitante. La biografia di Carol Sklenicka è un’inestimabile ricostruzione dell’evoluzione di Carver come scrittore, e del difficile e controverso rapporto con il suo editor”. Il commiato, nelle pieghe di Una vita da scrittore, tocca invece a Chuck Kinder che, nella sua apologia dell’outsider, dirà: “Ci sarà sempre qualche raro individuo a cui tocca di guardare nell’abisso per permettere a tutti noi di vedere davvero”. E’ il primo e ultimo compito dello scrittore, e Raymond Carver l’ha interpretato così: “Devi sopravvivere, trovare un po’ di pace e lavorare duro tutti i giorni”. Non c’è molto altro.

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