“Mi meraviglia che sopravviviamo ai nostri inizi” dice David Lurie nelle primissime pagine di In principio e già apre un varco sulla sua storia, mentre vive l’infanzia e il complicato percorso per lasciarla in quel crocevia etnico e culturale che era il Bronx a cavallo delle due guerre. E’ un bambino normale, che un piccolo incidente (bisogna ricordarla questa parola perché torna spesso e perché “esiste qualcosa che non sia un incidente?”) ha reso piuttosto cagionevole di salute e solitario. Uno dei suoi primi resoconti è abbastanza esplicito nel raccontare la semplicità della sua vita quotidiana: “Andavo a scuola. Mi ammalavo, ma non troppo spesso. Di tanto in tanto mi capitava un incidente, ma nulla di serio. Il mio mondo si era fatto saldo e stabile e io mi ci trovavo a mio agio. Gli insegnanti mi davano dei libri da leggere a casa e mi lasciavano sognare a occhi aperti durante le lezioni”. C’è una distanza enorme tra i suoi inizi e quelli degli adulti che lo circondano che “sembravano persi in ricordi privati”, tanto che gli pare persino di “essere l’unica persona sveglia al mondo”. L’ortodossia della comunità ebraica a cui appartiene, e le cui prassi sono raccontate in modo eccezionale da Chaim Potok, incide fino a un certo punto. C’è qualcosa che David Lurie non riesce a collocare, forse per istinto o per un’intuizione e non è la gente a cui appartiene, perché quella “entrava e usciva dalla tua vita e non sapevi mai che fine faceva”, ma le storie. Nelle storie che gli raccontava la madre funzionava tutto a meraviglia: “gli uccelli avevano dolci voci umane, i cani erano fedeli ai padroni, conducevano i bambini fuori dalla fitta foresta, non scavavano mai buche nella terra né sporcavano mai i sentieri usati dalla gente, e il vento era fatto dei corpi degli angeli che si muovevano invisibili nel nostro mondo. Mi raccontava solo storie a lieto fine. Non mi raccontava mai storie di incidenti, di malattie o di morte”. Un giorno di pioggia del 1929, David Lurie vede una fotografia che ritrae una quarantina di uomini con pistole e coltelli nella foresta. Un’armata Brancaleone pallida con una bandiera sbiadita. E’ un’epifania che lo porterà a confrontarsi con le proprie radici così come a comprendere che “fuori, il mondo era nero di orrore” e, nonostante i secoli nei secoli, “è sempre lo stesso. Non importa dove accade, è sempre lo stesso orrore, lo stesso strazio, la stessa incapacità di reagire”. Nella sua condizione, la scoperta che gli ebrei venivano uccisi, che gli ebrei dovevano difendersi, diventa un gradino in più da superare, un “incidente” molto più ingombrante e difficile da collocare nel suo sgusciare dall’infanzia. Vorrebbe una “fotografia silenziosa”, senza promesse di odio o di vendette, ma gli altri, gli adulti sembrano non sentirlo nemmeno. Gli rimane il rifugio della lettura perché “il mondo era visibile mentre leggevo. Era importante che fosse visibile, così da vedere come la lettura lo trasformava”. E’ lo stesso processo, vitale e importante, che rende In principio unico e importante.
martedì 29 marzo 2011
Chaim Potok
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