mercoledì 9 marzo 2011

Paul Beatty

Originario di Los Angeles, fin dal suo esordio, Paul Betty ha mostrato di conoscere a fondo le realtà dei ghetti, l'evoluzione delle metropoli e soprattutto la storia dei rapporti razziali in America che emerge violentemente in tutte le pagine de Il blues del ragazzo bianco. Titolo ironico e tagliente perché Gunnar Kaufman, il protagonista principale, è nero senza via di scampo (il racconto del suo albero genealogico fino ai bisnonni e bisavoli è esilarante e drammatico nello stesso tempo), vive a Hillside, Los Angeles, un quartiere ad alto rischio, per dirla con un eufemismo: i poliziotti girano con il nome di Babe Ruth (il celebre campione del baseball, a scanso di equivoci) inciso sugli sfollagenti, all’entrata delle scuole medie ci sono metal detector, le gang spadroneggiano e a undici anni non è poi così strano avere una pistola infilata nei calzoni. In questo avamposto del medioevo prossimo venturo Gunnar Kaufman scopre le sue amicizie e le sue vocazioni, il basket e la poesia, nonché il lato oscuro dell'America (il romanzo è ambientato nei primi anni Novanta, all'epoca del pestaggio di Rodney King, del successivo processo e dei cruenti scontri di Los Angeles) che traduce così: “Sono stati cinquecento anni deliziosi, ma è tempo di andare. Stiamo abbandonando la nave America che affonda, alleggerendo il suo carico lanciando le nostre storie fuori bordo, gettando in mare il presente e tirando in secco il futuro. L’America nera ha abbandonato i suoi bisogni in un mondo dove le aspettative sono illusioni, ha rifiutato di sviluppare ideali e tradizioni in una società che applica i principi senza principio”. Nella sua esuberanza giovanile Il blues del ragazzo bianco soffre di una certa prolissità, ma è facile credere sia dovuto ad un eccesso di entusiasmo: Paul Betty scrive e racconta sempre sul filo del rasoio tra sarcasmo e ironia, tra farsa e tragedia, partendo da una realtà per niente poetica per arrivare a competere con i grandi narratori afroamericani. Per presentarlo qualcuno ha scomodato i nomi (sempre bianchi) di Tom Robbins e Kurt Vonnegut mentre Paul Beatty forse sogna L’uomo invisibile di Ralph Ellison e scrive (bruciante, slang, ritmico) come Chester Himes: non si tratta di un’affinità razziale, ma di un modo elastico, poliedrico di intendere il linguaggio, la storria, l'arte stessa dello scrivere e del narrare. Tra le righe Paul Beatty cita Céline, Amiri Baraka (già LeRoi Jones), John Dos Passos e poi scrive: “Mi venne in mente che forse le poesie sono come i raffreddori. Forse avrei sentito arrivare una poesia. Avrei percepito un peso sul petto e mi sarebbero venuti gli occhi umidi e la febbre, e alla fine un fischio nelle orecchie avrebbe annunciato il profilarsi di versi eterni”. Divertente, caustico, caotico Il blues del ragazzo bianco è anche una specie di sottile, laconica presa di posizione: ci sono pochi modi per uscire dal ghetto (quale che esso sia) e le poesie non sono seconde a nessuno, almeno fino a quando personaggi come Gunnar Kaufman andranno a scriverle sui muri.

 

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