mercoledì 15 gennaio 2020

Sybil Steinberg

L’arte della scrittura resta in gran parte un mistero anche una volta arriva in fondo alla raccolta di interviste e articoli curata da Sybil Steinberg. Una serie di solidissime retrospettive che comprendono, tra gli altri,  dialoghi e incontri con Paul Auster, Don DeLillo, Sandra Cisneros, Howard Fast, Raymond Carver, Tim O’Brien, Grace Paley, Anne Rice, David Leavitt, Philip Roth e Barbara Tuchman. L’argomento unico e centrale, quasi un’ossessione è proprio il mestiere di scrivere, ed è vero, come dice Ann Beattie, che in definitiva “gli scrittori decifrano” (la realtà e i messaggi dell’immaginazione), ma ognuno lo fa seguendo percorsi originali e vie del tutto imperscrutabili che, nel suo complesso, L’arte di scrivere annuncia e presenta nel solo modo possibile, ovvero attraverso la voce dei protagonisti. Così Ann Beattie si premura di precisare un’idea pungente di narrativa: “Io non leggo le opere di fantasia per cercarvi risposte. Io amo gli scrittori che sottendono delle domande. Davvero, la complessità è consolante. Presentare la vita come un puzzle e riconoscerla come tale”, ed è facile tornare a Gelide scene d’inverno pensando all’applicazione pratica del suo punto di vista. Non è la sola ad avere un’opinione tranchant, visto che Cynthia Ozick ribadisce: “Sono stanca delle idee convenzionali e delle polemiche, e voglio la libertà totale dell’immaginazione nel più profondo senso letterario”. Le motivazioni che L’arte dello scrivere fa emergere toccano un po’ tutti gli aspetti legati all’espressione in sé. Il più esplicito è Jerome Charyn: “Ho cominciato a scrivere perché le parole erano l’unico mezzo per collegarmi al mondo. Non ho mai considerato la scrittura una professione, malgrado mi consentisse di guadagnare qualche soldo. È stata l’arma con cui combattere le scariche elettriche che mi vibravano nel cervello, un modo per trovare coerenza e musica, per risolvere il caos e allo stesso tempo per avvicinarmici senza essere risucchiato da qualche suo buco nero”. Toni Morrison è ancora più precisa quando dice che “scrivere è veramente un modo di pensare, non solo di sentire, ma di pensare cose che sono disparate, irrisolte, misteriose, problematiche o semplicemente dolci”. È una convivenza complicata, in costante attrito con le incombenze della vita quotidiana e della realtà tanto che Tony Hillerman arriva a dire: “Se riuscissi a scrivere tre pagine al giorno, sarei felice, ma prima di scrivere una scena devo andare in un posto tranquillo e trovare come in sogno il modo per entrarvi. Immagino tutte le sensazioni, dove è il sole, che cosa vedi, senti, annusi, la polvere nell’aria: vedo letteralmente la scena nella mia testa”. Non c’è scrittore e/o scrittrice che abbia una formula collaudata. Anche Russell Banks, che solo per La deriva dei continenti meriterebbe tutta l’attenzione possibile e immaginabile, si deve accontentare di un’ipotesi molto dubbiosa: “Forse il presente ha bisogno di tempo per depositarsi e trovarsi una nicchia, un suo posto nell’armadio stracolmo, vale a dire nel passato, là dove si sono ammassate tutte le scarpe e le altre cose, tutta roba che spunta poi sulla pagina, la flora e la fauna”. Una sensazione che ritorna con frequenza tra i convitati che L’arte dello scrivere raduna, a partire da Ann Beattie: “Avanzi alcune ipotesi circospette. Il subconscio dello scrittore fa una distinzione fra sé e i personaggi. Crei un personaggio e sei in suo potere. Quando lui è in tuo potere, allora sono guai”. Ecco, se c’è un elemento comune a tutti è proprio il legame con i volubili caratteri delle storie, dato che, come dice Toni Morrison: “la narrativa si basa su personaggi inventati, sei tu che prendi le decisioni su ciò che ha valore e ciò che non lo ha, ciò che è vero, non da un punto di vista fattuale, ma vero e autentico, e ciò che non lo è”. L’arte di scrivere si propaga da quella cernita, poi è indispensabile quella consapevolezza che Jim Harrison descriveva così: “Tu non crei qualcosa perché le persone possano trarre delle conclusioni, ma per arricchirle, così come tu ti sei arricchito nell’esperienza di costruire il libro. L’arte dovrebbe essere un processo di scoperta, altrimenti, è noiosa”. Una linea condivisa a distanza anche da Richard Ford e probabilmente è sua la definizione migliore che riassume in poche parole L’arte dello scrivere: “Bisogna scavare tutto il possibile, ma devi anche ampliare i tuoi orizzonti. Nello sforzo di essere esigente con me stesso, io creo un’aura di difficoltà, in cui le cose non potranno andare a posto. Ma io vorrei che il linguaggio portasse una redenzione, in qualche senso laico. Scrivere è un atto di ottimismo: fai una cosa, la fai bene, la dai a qualcuno, e quella cosa ha un’utilità. La gente ne ha bisogno, anche se non lo sapeva”. Il segreto, forse, è tutto lì.

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