mercoledì 15 gennaio 2025

Evan Wright

Tra le prime forze di terra che hanno inaugurato l’invasione dell’Iraq nella primavera del 2003, i marines non hanno mai messo in discussione i motivi, le armi di distruzione di massa che non esistevano o il controllo delle forniture petrolifere o qualsiasi altro obiettivo geopolitico dichiarato o non. Il loro comandante James Mattis (soprannominato Mad Dog, cane pazzo; nome in codice: Chaos) ha mandato il battaglione First Recon, un’unità d’élite addestrata ad arrivare sul campo di battaglia via mare, a solcare il deserto a bordo di veicoli su quattro ruote. Una scelta che è già abbastanza bizzarra, ma non è l’unica. Non preparati, non attrezzati, per i marines ogni singolo dettaglio è una questione, a partire dalle necessità primarie: bere e mangiare, dormire, sopravvivere. Eseguono gli ordini, che spesso sono contraddittori, il cibo e l’acqua sono scarsi, il movimento dal Kuwait a Baghdad è a singhiozzo, tutta la missione sembra fatta apposta per finire di proposito in un’imboscata, come se fossero esche. Si scoprirà, in effetti, che il tragitto del First Recon rispetto alle altre forze statunitensi e britanniche è un vero e proprio diversivo. Sono accompagnati da un reporter, Evan Wright, che riesce a cogliere gli aspetti drammatici e a tratti surreali che avvolgono tutta l’operazione, a partire dalla cultura stessa del corpo dei marines, che si alimenta di una specie di argot farcito di insulti, improperi, bestemmie e volgarità assortite, il più delle volte razziste e omofobe. Senza un attimo di tregua: il linguaggio crudo, rozzo e spietato è l’elemento trainante di Generation Kill e nella rappresentazione di Evan Wright è un non stile: la scrittura è scabra, immediata, senza filtri e, se non altro, appropriata al contesto. Nonostante sia un giornalista embedded, con tutte le relative restrizioni, osserva e prende nota in tempo reale delle tempeste di sabbia, delle strade disseminate di spazzatura, rottami e cadaveri, dei cani randagi, degli stop and go in mezzo alla sabbia nonché dei combattimenti, del fuoco amico e delle vittime civili. Le regole di ingaggio sono in contrasto con l’istinto e la memoria muscolare dovuta all’addestramento e i marines hanno a disposizione un arsenale spaventoso che, oltre alle armi personali, comprende elicotteri, artiglieria, carri armati e bombardieri. I tragici risultati li conosciamo ed Evan Wright ha la premura di approfondire le condizioni folli ed estreme in cui si ritrovano i marines del First Recon, età media poco più di vent’anni. Spinti da un “adolescenziale senso di invulnerabilità” condito da talismani, precauzioni, superstizioni (compresa l’ossessione per le caramelle dalle razioni da campo che vengono scartate perché portano sfortuna), costretti a passare la notte nelle buche e le giornate esposti agli elementi, alle incombenze delle catene di comando, nonché ai colpi di un nemico sfuggente o ai proiettili vaganti degli alleati, i marines sono così tesi e nervosi da scambiare una scoreggia per un attacco di mortaio. Non manca nemmeno l’aspetto più comico, in Generation Kill: l’impossibilità di distinguere le notizie reali dalle voci, dalla propaganda e dalla “nebbia di guerra” non impedisce a Evan Wright di tessere una sottile trama incisa dialogo per dialogo. Ne viene fuori una testimonianza a distanza ravvicinata dentro una brutale ordalia di violenza senza fine a cui, dal suo punto di vista, concede solo l’onore delle armi. Durissimo, ma onesto.

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