venerdì 10 gennaio 2025

Peter Straub

Qualcuno ha approfittato delle storie e le storie si sono ribellate perché hanno un potere incontrollabile ed è vero che “abbiamo tutti bisogno d’essere razionali”, ma poi qualcosa sfugge al controllo e l’imprevedile, l’inafferrabile e l’inaudito scatenano il caos contro la realtà. La Chowder Society di Frederick alias Ricky Hawthorne (e della moglie Stella), John Jaffrey, Lewis Benedikt, Sears James, ed Edward Wanderley che è morto giusto un anno prima, ha un grossa responsabilità per quello che accade nei giorni di Natale, a Milburn, un villaggio suburbano nello stato di New York. L’inverno è già abbastanza allucinante, ma il circolo di letture e racconti corroborato dal whisky si trova a confrontarsi con le ombre del passato e allora chiede aiuto a Don Wanderley, nipote dell’illustre membro scomparso e scrittore, che è un po’ (suo malgrado) l’anfitrione e la guida di Ghost Story. Combattuto perché “spesso le cose terribili che immaginava, le cose peggiori, non succedevano; sul più bello il mondo si scuoteva e ogni cosa tornava a posto”, si ritrova nell’epicentro di un lotta impari al punto di avere “la sensazione che tutto ciò che succede abbia un rapporto diretto con il mio scrivere”. Un’intuizione che sarà molto utile nel corso degli eventi. L’evocazione di spiriti e di misteri è l’inizio di un big bag spaventoso. Milburn viene attaccata, ma è un’implosione, a ben vedere: le pericolose relazioni sotterranee e le tensioni accumulate emergono all’unisono e la città pare attraversata da un’onda di follia. Don Wanderley, che resta il più accorto tra i protagonisti di Ghost Story, si premura di avvisare: “Vedete, abbiamo luoghi in cui occorre stare attenti di notte, gli anni non ci hanno lasciato tutti incartapecoriti e innocenti”. Si aprono porte reali e oniriche e tutta una progenie di femme fatale si incarna via via in Alma Mobley, Anna Mostyn, Ann-Veronica Moore ed Eva Galli, figure evanescenti e crudeli assecondate da “creature della notte” che affollano sogni e incubi. Quello che hanno fatto (e nascosto) negli anni della gioventù gli adepti alla Chowder Society cambia di prospettiva e così i fantasmi diventano delle possibilità come se “si fossero ormai da molto inseriti in un tempo in cui la follia forniva un quadro degli avvenimenti molto più attendibile della razionalità”. Cliché, simbolismi e metafore del caso ci sono tutti e la dissoluzione riguarda vittime e carnefici, in un finale tumultuoso e convulso, uno spettacolare capitolo di un “interminabile fumettone dei diseredati d’America” dove non c’è differenza (o quasi) tra vivi e morti, a riprova, come sostiene Peter Straub, che “le storie dell’orrore funzionano quando sono grandiose e sgargianti, quando la loro dinamica non viene ostacolata”. Ghost Story è proprio uno di quei casi e, dentro lo sviluppo di un moderno gotico, c’è un compendio di tutti i capisaldi del soprannaturale: si trovano Vincent Price ed Edgar Allan Poe e La notte dei morti viventi ed è attraversato da vampiri, lupi mannari, forme mutanti mostruose, affamate e perse nei secoli e, naturalmente, dozzine di spettri che scorrazzano impuniti per le strade di Milburn. È  allora che Don Wanderley capisce come “nella vita nulla si risolve, nulla quadra” e, non a caso, con lui tutti i cittadini terrorizzati “udirono la musica echeggiare nella città, squilli di tromba e sassofoni, la musica dell’anima nella notte, la liquida musica del ventre d’America” che va a sommarsi alle canzoni di Dolly Parton, Loretta Lynn, Willie Nelson, Count Basie, Aretha Franklin e Benny Goodman e con questa colonna sonora, una volta arrivati in fondo, si comprenderà anche l’enigma di una bambina con un uomo e un pugnale con cui Ghost Story era cominciato.

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