Quando anche l’esimio critico diventa un fan, non c’è struttura che tenga ed è così che Il demone di Shakespeare si rivela un florido e ipersensibile commento al testo, costituito per una buona metà dagli originali shakespeariani dell’Enrico IV e dell’Enrico V e di Antonio e Cleopatra, a cui Harold Bloom si rivolge con devozione. La funzione è didattica più che analitica e si adegua all’indicazione di William Butler Yeats: “Senza una bella trama, non c’è dramma, ma senza linguaggio magnifico o potente e individuale non c’è letteratura o, comunque, non grande letteratura. Rabelais, Villon, Shakespeare, William Blake, si sarebbero riconosciuti a vicenda per il loro linguaggio. Alcuni di loro sapevano come costruire una storia, ma tutti possedevano un linguaggio rigoglioso, risonante, magnifico, esilarante, vivo”. Seguendo questa scia, la lussureggiante esegesi di Harold Bloom parte da una definizione destinata a diventare un classico: “Un personaggio letterario è sempre un’invenzione ed è debitore delle invenzioni precedenti. Shakespeare inventò il personaggio letterario così come lo conosciamo noi. Ha modificato le nostre aspettative nei confronti dell’imitazione verbale della personalità e tale modifica si è rivelata permanente e, misteriosamente, inevitabile. I personaggi biblici e quelli omerici sono resi in modo straordinario, e i loro caratteri sono perlopiù immutabili: i protagonisti invecchiano e muoiono all’interno delle loro storie, ma il loro modo di essere non ha uno sviluppo. Le personalità di Shakespeare invece sì. La sua rappresentazione dei personaggi adesso sembra avere valore normativo e, in effetti, si affermò quasi subito come regola”. Dagli intrichi britannici a quelli romani, le figure di Falstaff e Cleopatra tra le più esuberanti dell’empireo shakespeariano, con una sensibile predilezione per il primo perché incarna “la perpetua gloria dello spirito spensierato che governa tutti noi”. Harold Bloom si spende con generosità per il suo eroe, sostenendo che “essere Falstaff vuol dire attaccare le frontiere tra apparire ed essere. Falstaff non è l’uomo qualunque poiché, al pari di Amleto, la vastità del suo intelletto è immensa. Ma in tutti noi, indipendentemente dall’età o dal sesso, c’è un po’ di lui”. Passo dopo passo, il personaggio diventa l’emblema della saggezza di Shakespeare che, secondo Harold Bloom, “eguaglia e supera quella dei filosofi e dei teologi classici. Ludwig Wittgenstein considerava, ambivalentemente, Shakespeare in primo luogo un creatore di linguaggio. Tra tutte le personalità shakespeariane, Falstaff è il creatore di linguaggio. È il principale esempio di come il significato sia generato piuttosto che riprodotto. È eccesso, rovesciamento, esagerazione: è prodigo nello sperpero”. Arriva a immedesimarsi, anche per conto dei lettori, al punto che diventa inevitabile chiedersi: “Il suo mistero è simile a quello che riguarda noi e la nostra vita quotidiana. Siamo personaggi, pensatori o personalità?”. Il ritratto della conturbante Cleopatra è altrettanto minuzioso e, per quanto si tratti di un profilo completamente differente, Harold Bloom riesce a intravedere una continuità, segnalando che “in Shakespeare, la personalità si evolve anziché rivelarsi. Cleopatra ci sconcerta perché è scaltra ben oltre il pensiero maschile. Sa essere arguta come Falstaff, ha la furbizia di Iago e l’implicita capacità amletica di alludere a desideri trascendenti. Ed è irresistibile”. È una distinzione importante perché “Shakespeare era un maestro dell’ellissi, dell’omissione finalizzata a stuzzicare la nostra curiosità riguardo alle origini”. Eppure Harold Bloom sembra arrendersi ancora una volta all’eloquenza della rilettura di Shakespeare. Una missione che pare infinita, e che, dal canto suo, lo porta ad ammettere che “la letteratura americana è ossessionata da Shakespeare: Herman Melville, Emily Dickinson, Mark Twain, Henry James, Wallace Stevens, Ernest Hemingway, William Faulkner”. Al punto di trovare una curiosa relazione tra Shakespeare e Cole Porter, un compositore che sarebbe piaciuto moltissimo a Falstaff, e anche a Cleopatra.
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