martedì 8 settembre 2020

Don Winslow

È chiaro che la somma totale dei racconti di Broken è l’omaggio, sia quando è dichiarato (a Steve McQueen, Elmore Leonard e Raymond Chandler) sia quando è sommerso, comprensivo di tutta una mitologia americana che, in corso d’opera, comprende negozi e strade, automobili e città, cinema e musica (Springsteen è il più citato, il jazz è la vera colonna sonora), il surf, il poker e il baseball. Come se Don Winslow avesse voluto elencare le piccole cose che, da New Orleans alla California fino alle Hawaii e al Texas, tengono insieme un’America spezzata e popolata da uomini e donne distrutti dalle guerre. Lo schema generale di Broken si riassume nell’elemento caratteristico dello scontro tra delinquenti e sbirri, ma con l’idea che appartengano tutti quanti allo stesso milieu, fatto di strade e di notti e con l’eccezione di Paradise e L’ultima cavalcata dove le storie hanno un’evoluzione differente. Broken, il primo racconto è una dedica a James Lee Burke, con uno stile tra Stephen King (un richiamo costante, per le semplificazioni) e a James Ellroy (per il ritmo sincopato): una battaglia feroce che parte proprio dall’atmosfera torbida della Louisiana, che vede protagonista, Jimmy McNabb, detective in cerca di vendetta per il fratello, brutalmente massacrato da una gang di narcos. Ci si aspetta l’apparizione di Dave Robicheaux e di Clete Purcel, ma Don Winslow sa quando è il momento di calare il sipario su una short story con la miccia corta e cambia subito registro. La differenza non è soltanto geografica: se la Pacific Highway, una strada che raccoglie sul suo tracciato una bella fetta di leggende della costa californiana, è la cornice perfetta di Rapina sulla 101, Davis, il protagonista, è un ladro che non sfiora nemmeno le vittime. È elegante, scrupoloso, veloce, ama l’imperativo “semplifica le cose”, si muove con destrezza. Lo insegue un poliziotto che è in crisi, tanto da separarsi dalla moglie e andare a vivere in una casa sull’oceano, onnipresente. Don Winslow sa maneggiare gli standard e i cliché con grande disinvoltura e anche una punta d’ironia. È evidente in Lo zoo di San Diego che parte da una situazione surreale: una scimmia si è impadronita di una pistola, ma come si vedrà poi, non è il frutto di un caso, ma una metafora nemmeno troppo velata del rapporto viscerale (e sancito dalla costituzione) degli americani con le armi. Di più, Lo zoo di San Diego svela le le connessioni e gli intrighi macchiavellici nei dipartimenti di polizia, che Don Winslow conosce a fondo così come il sistema delle cauzioni che è alla fonte della trama di Sunset. L’attenzione per i particolari è trasmessa al protagonista, Duke, che ascolta (rigorosamente in vinile) il sound della Pacific Jazz Records. Duke conosce i musicisti avendo studiato i nomi nelle note di copertina dato che “i dettagli sono importanti, sono tutto; se non fai bene le piccole cose, incasini le grosse”. Applica lo stesso metodo ai furfanti recidivi che deve inseguire, ma i tempi stanno cambiando, anche per lui, ed è arrivato il momento di lasciare il campo. Ci sarà ancora una missione, naturalmente, così come avviene in L’ultima cavalcata, una tragica ballata sul border, dove Cal Strickland si trasforma in un “ladro di bambini”, per riportare a casa una piccola immigrata abbandonata al suo destino. Merita un appunto speciale Paradise, sia per l’insolita ambientazione alle Hawaii, sia perché narra un epico scontro tribale e famigliare per il controllo del territorio. Se i racconti di Broken sono interconnessi gli uni agli altri, condividendo i personaggi e collegamenti con altri romanzi di Don Winslow che affiorano nel testo, Paradise evoca persino un paio di notevoli fantasmi, ovvero Frankie Machine e Bobby Z. Roba densa, immediata e magnetica, che scorre e colpisce senza esitazioni, anche se l’impressione conclusiva è che Don Wislow abbia espresso ben altre qualità sulla lunga distanza, ma, senza dubbio, i racconti di Broken sono degni epigoni dei maestri a cui fanno riferimento.

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