lunedì 31 agosto 2020

Stephen King

Nel ringraziamento “dulcis in fundo” di Stephen King ai “fedeli lettori”, per averlo “accompagnato ancora una volta”, c’è un po’ il senso ultimo dei racconti di Se scorre il sangue. Siamo nell’ambito del fanclub, dove pare legittimo che le storie vadano dove vogliono, ma che alla fine tornino e rimbalzino in confini già conosciuti ed esplorati in lungo e in largo. Nel breve romanzo che è al centro della raccolta (e gli presta il titolo), torna con prepotenza Holly Gibney, la tormentata detective di Mr Mercedes (e poi di Chi perde paga e Fine Turno) e soprattutto di The Outsider, alle prese con un’altra “creatura”, che ha il volto di un anchorman, con una particolare ed eccessiva vocazione per stragi e disastri. È il primo ad arrivare e, non di rado, diventa l’eroe tra la polvere e le lacrime. Non sfugge l’attenzione critica rivolta da Stephen King all’universo parallelo dei media in Se scorre il sangue (“si vende”, è la parte sottintesa), con la fredda ironia quando dice che “ci sono tante cose che non sappiamo su queste creature, e credo che non le sapremo mai”, ma la storia è, nei fatti, una coda di The Outsider e si regge in gran parte sulla figura di Holly Gibney che almeno giunge a una conclusione dei complessi e delle nevrosi che si portava dietro da tempo: “Non puoi avere tutto, pensa; tutti, nella vita, devono beccarsi la propria dose di merda. Ma a volte ti capita di ottenere proprio ciò di cui hai bisogno. Ed è tutto quello che una persona sana di mente può desiderare”. Non ce la toglieremo di torno tanto facilmente. Anche perché la sua percezione di “una seconda dimensione” che “esiste proprio perché la gente si rifiuta di credere che ci sia”, è il paradosso che è alla base di tutta la narrativa di Stephen King che ritrova tra Il telefono del signor Harrigan e La vita di Chuck uno dei temi ricorrenti, l’associazione tra apocalisse e tecnologia. Anche qui Stephen King si limita all’ordinaria amministrazione. Se i presupposti che alimentano Il telefono del signor Harrigan restano validissimi (il potere dei cellulari già esplorato in Cell), lo sviluppo (in particolare il finale) della ghost story è monco. Nello stesso modo, i tre atti con cui dipana La vita di Chuck contengono senza dubbio una premonizione, quanto mai attuale, con quel mondo che si sta spegnendo, ma la vicenda resta incompiuta. Stephen King si limita all’applicazione degli standard e dei cliché, C’è molto esercizio di stile e di mestiere, con accurate ripetizioni, nonché una discreta percentuale di autocitazioni nel corso della narrazione. Va da sé che nel “secondo mondo” Stephen King si muove con disinvoltura e che il suo senso per l’ignoto resta intatto, restando convinto che “anche le cose più folli possono sembrarti sensate, quando sei al buio e da solo”, ma l’impressione è abbiamo viaggiato un po’ in automatico. I personaggi sono concatenati da piccole abitudini e da consuetudini, anche datate, i nomi si intrecciano, le voci tendono a somigliarsi. Anche in Ratto, l’arte del riciclo è esercitata all’ennesima potenza: lo scrittore in crisi che si rifugia nella wilderness ricorda Jack Torrance, il topo suggeritore è la versione roditrice del fornit che animava La ballata della pallottola flessibile e l’isolamento forzato dalla tempesta ricorda un po’ anche Misery. Insomma tutti i temi di Stephen King smontati pezzo per pezzo, aggiornati e riassemblati per l’occasione. Consigliato soltanto ai fans, che si ritroveranno a casa, ma non molto di più.

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