La
storia orale di dieci anni di musica americana, alternativa e
indipendente: Black Flag, Minutemen, Minor Threat,
Hüsker
Dü,
Replacements, Sonic
Youth, Butthole Surfers, Big Black, Dinosaur Jr, Fugazi, Mudhoney,
Beat Happening sono i protagonisti dell'epopea raccontata da Michael
Azerrad attraverso le voci dei protagonisti. Il sound, elettrico,
duro, scomodo, era solo l'inizio dell'alfabeto perché lo spirito era
quello che raccontava Mike Watt (Minutemen): “Era fondare
un'etichetta, era andare in tour, era mantenere il controllo. Come
quando scrivi una canzone: lo fai, e basta”. C'era anche un aspetto
etico, per quanto vago e indefinito che Lee Ranaldo (Sonic Youth)
provava a riassumere così: “Girava l'idea che in definitiva quello
che conta è la qualità di ciò che fai e l'importanza che gli dai,
a prescindere da quanto successo avrai e quanti dischi sarai in grado
di vendere”. Ian
McKaye (Fugazi) scendeva più nel dettaglio: “E' stato in quel
periodo che ho cominciato a focalizzare l'idea che quello che
facevamo fosse reale,
un modello di lavoro per una comunità concreta e alternativa, che
potesse continuare a esistere al di fuori del mainstream,
legittimamente, e supportandosi da sé. Parlo di lavorare, pagare
l'affitto, avere relazioni, avere delle famiglie, qualunque cosa. Ho
visto che c'era una controcultura che poteva svilupparsi”. Non
tutte le opinioni concordano e a Michael Azerrad va riconosciuta la
pluralità di voci, compresi parecchi elementi stonati. Premio per la
sincerità a Paul Westerberg (Replacements): “A volte non vorresti
essere creativo. Vorresti solo essere normale, non preoccuparti, non
pensare, non scrivere”. La menzione speciale per avere mantenuto
una certa lucidità va invece a J Mascis (Dinosaur Jr.): “Non
abbiamo mai comunicato per davvero. Non sapevamo come, credo. Troppo
giovani. Non l'avevamo ancora imparato”. Si
capisce che c'è uno spirito naïf
in tutti questi gruppi che, con
ogni probabilità, è il tratto più originale, insieme
all'insistente ricerca di un'identità e di una consapevolezza. Non
allineati, non organici, sempre piuttosto distorti, come la loro
musica, sono stati, in buona sostanza, splendidi outsider e
l'implicito omaggio di Michael Azerrad è un'apologia dei rimpianti e
dei sogni infranti, delle occasioni perdute e dei risultati raggiunti
attraverso il do it yourself, infine più legati alla sfera della
personalità e delle singole esistenze che ai risultati economici.
Diceva ancora Ian McKaye: “Se vieni a sentirmi suonare della musica
si manifesterà in quel modo. Se vieni a trovarmi a casa, vedrai il
modo in cui vivo. Se ti preparo una cena, vedrai il cibo che mangio.
Ci sono arrivato dopo aver riflettuto sulla mia vita e considerato
quel che ho ereditato, quello di cui ho bisogno e quello di cui non
ho bisogno, ciò di cui mi posso disfare e ciò che voglio ottenere,
ciò che è importante e ciò che non lo è”. Per qualcuno è stato
soltanto “un piccolo segmento di mercato”, per Michael Azerrad
“la battaglia è stata molto più divertente della vittoria” e il
suo merito è stato quello di riunire le storie, mettendo in rilievo
i mille fili invisibili che collegavano college, radio, fanzine,
locali con le rock'n'roll band, mostrando una porzione significativa
della gioventù sonica tra il 1981 e il 1991. Una rete importante, una
lunga ed elaborata semina i cui frutti sarebbero poi stati raccolti
da Nevermind
dei Nirvana. Sarà proprio Michael Azerrad a scrivere la prima
ricostruzione della tragedia di Kurt Cobain, ma questa è davvero
un'altra storia.
Nessun commento:
Posta un commento