domenica 19 gennaio 2014

William Burroughs

E’ noto che, dai Soft Machine ai Nirvana, il legame di William Burroughs con il rock’n’roll è stato lungo, esteso e proficuo. Gli elementi della simbiosi sono rimasti gli stessi: la condivisione dello stesso underground, il gusto per lo scarto di lato, per la provocazione e la ribellione, lo spirito iconoclasta e irriverente, la lingua dura e tranchant, tutti gli spigoli vivi di un lucidissimo visionario convinto che “il linguaggio è a tutti gli effetti un virus che ha raggiunto una condizione di equilibrio con l’organismo ospitante, e quindi non è avvertito come tale”. E’ questa vitale considerazione che ha spinto William Burroughs alla ricerca di nuovi legami tra forme d’arte diverse, per certi versi proiettate in sensi contraddittori. L’origine stessa del cut-up, la parte più innovativa della sua scrittura, proviene dalle arti figurative, come racconta in Rock’n’Roll Virus: “Che cosa sono le parole? In che direzione stanno andando? Il metodo del cut-up tratta le parole come un pittore usa i colori, materiali grezzi con regole e significati loro propri”. Nell’incontro con la musica, dove si è sempre confessato ignorante e inadeguato, William Burroughs aveva visto invece qualcosa “in grado di evocare una situazione del passato, in modo molto più accurato rispetto, per esempio, a un sottofondo neutro fatto solo di parole”. Rock’n’Roll Virus raccoglie interviste che, a seconda degli interlocutori, si rivelano dialoghi dagli esiti imprevisti: David Bowie, Patti Smith, Blondie, Devo. Molto degli esiti dipende dallo differente spessore dei convenuti: l’intervista con i Blondie si risolve in una specie di chiacchiera omnicomprensiva che racchiude opinioni e divagazioni dagli UFO all’assassinio di Kennedy. Quella con Patti Smith, con William Burroughs che sembra persino in soggezione, è tutta concentrata sulla protagonista di Horses e sulla sua passione per il rock’n’roll. Più articolate e interessanti quelle con Robert Palmer e David Bowie, che trarrà spesso ispirazione dal lavoro di Burroughs. In un modo o nell’altro, la musica è un punto di partenza: “Quello che mi ha sempre interessato è la libertà che c’è nelle dissonanze. Mi è sempre piaciuto che la pagina fosse un costringere liberamente ovvero un instradare le parole in una nuova partitura che è poi la pagina. Fondamentale è il tono, senza ombra di dubbio. La scrittura diventa così una partitura di parole, dove il respiro del corpo e quello della mente si muovono insieme, proprio come nella buona musica, senza niente di scontato”. Anche nella natura frammentaria di Rock’n’Roll Virus emerge comunque la personalità di Burroughs: quando confessa limiti e ambizioni: “E’ questione di raggiungere un grado di precisione sufficiente. Se sapessi veramente scrivere, potrei realizzare qualcosa che uccidesse tutti quelli che leggano. Lo stesso vale per la musica e per qualsiasi tipo di effetto desiderato che si possa produrre sviluppando un sufficiente controllo sulle proprie conoscenze o su una tecnica specifica”. Sempre validissimo.

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