Nel Kansas alla
fine del diciannovesimo secolo, Una speculazione sul grano svela in un racconto essenziale di poche
dozzine di pagine l’essenza e la consistenza del cosiddetto, onnipresente
mercato. A cui Frank Norris dedicò una trilogia di racconti, rimasta purtroppo
incompleta, anche se in fondo basta il micidialie meccanismo a incastri di Una
speculazione sul grano per
comprenderne la portata. Come scriveva John James Ingalls, citato da William
Least Heat-Moon in Prateria, “Il Kansas è stato il prologo di una tragedia che non ha ancora
l’epilogo, è stato il preludio a una fuga di battaglie di cui non s’è ancora
spenta la risonanza”. Il ribasso del prezzo del grano a sessantadue centesimi
per staio (circa un terzo di quintale) è una calamità. A Sam ed Emma Lewiston,
pionieri e agricoltori, costa un dollaro a staio produrlo e non rimane che
andarsene verso Chicago in cerca di altre opportunità. Per loro la matematica è
impietosa, per il mercato è un optional ed ecco che la cifra discriminante sale
a uno e dieci, uno e mezzo e uno a settantacinque fino alla mossa finale dei
due dollari per staio. Una speculazione da manuale: l’escalation del prezzo del
grano non è collegata ad alcuna logica produttiva o economica, all’offerta o al
consumo e non è il risultato di una politica industriale o delle leggi della
concorrenza. E’ solo frutto di quell’imperativo, “sostenere il mercato”, che è
tutt’altro che ambiguo perché come scriverà John Maynard Keynes qualche anno
dopo Frank Norris: “Gli speculatori possono essere innocui se sono delle bolle
sopra un flusso regolare di intraprese economiche; ma la situazione è seria se
le imprese diventano una bolla sospesa sopra un vortice di speculazioni. Quando
l’accumulazione di capitale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività
di un casinò, è probabile che le cose vadano male”. Horhung e Truslow, i due
finanzieri che combattono in Una speculazione sul grano, potrebbero persino essere soci: un giorno
va bene a uno e un giorno all’altro, ma a loro, ai mercanti nel tempio, va
sempre bene. Il rialzo e il ribasso nella logica del mercato sono soltanto
artifizi strumentali. Gli aumenti, le trattative, le sfumature economiche sono
piccoli abbagli, conditi dal gusto per il gioco d’azzardo, per nascondere il
vero scopo di quel mistero chiamato mercato, che è vincere sempre. Il mercato è
l’inganno e quando lo sconfitto di turno se ne accorge non fa altro che riderci
sopra: è il rischio del mestiere (sarà per la prossima volta). Gli sconfitti
sono sempre gli altri e il titolo del racconto di Frank Norris contiene già
nella sua etimologia latina la chiave di volta della storia. Con il grano a
sessantadue centesimi almeno il pane lo regalavano ai diseredati, ma con il
rialzo a due dollari anche quella spontanea e provvisoria forma di welfare
viene a mancare e Sam Lewiston si ritrova a fare La fila per il pane, come è chiamato l’emblematico paragrafo
conclusivo di Una speculazione sul grano che ancora oggi, nella sua drammatica attualità, è una
perfetta definizione di cos’è davvero il mercato.
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