Dopo aver lavorato
a un libro con un titolo che è tutto un programma, La morte della scrittura
in America altrimenti
conosciuto come Il libro di ogni cosa, Shark Rosenthal si divide tra la composita famiglia
(una figlia di nome Gesù e l’avvenente compagna Diosa), un instabile incarico
universitario, dozzine di incontri forieri di altrettanti evanescenti progetti
e la sua vocazione alla scrittura. Il metodo di Chuck Rosenthal, non deve
essere molto diverso da quello del suo alter ego protagonista di A Ovest dell’Eden: “Mi siedo e scrivo, scrivo la prima
frase, poi la seconda e lascio che mi portino dove mi devono portare. Ed è
sempre un libro diverso da quello che avevo concepito. Sono più interessato al
linguaggio che alla storia”. La frenesia è filtrata con discrezione e si
trasforma in un ritmo assiduo, forsennato, sincopato, spesso e volentieri
esilarante. Sa usare tutte le deviazioni e le variazioni dell’immaginario pop,
dal ribaltamento della realtà del cinema (siamo a Hollywood, dopo tutto)
all’insistenza con sui sfoggia il suo name dropping, lasciando scivolare un nome famoso dopo
l’altro e incastrandoli in una rete di eventi e relazioni collaterali
impercettibile a occhio nudo e che non finisce mai perché “non c’è chiusura
quando racconti una vita”. Figurarsi mentre si setacciano gli otto milioni di
vivere e di morire di Los Angeles attraverso il filtro deformante delle parole
che, nella percezione di Shark Rosenthal, “sono un miracoloso bisturi con cui i
miracoli sono dissezionati”. Infarcite di rimandi e di riferimenti,
dall’insistente presenza di William Gass, il suo mentore, a Bob Dylan e Jack
Kerouac, fino al rivelarsi con lo spezzone da Tropico del Cancro di Henry Miller e l’apparizione di Mark
Strand nel finale, le Cronache magiche da Los Angeles sono un flusso di parole che non è un
romanzo proprio come Los Angeles non è una città, e proiettano una scrittura
anarcoide, effervescente, incontrollabile in cristalli spezzati in mille
frammenti e in tutte le direzioni, non solo A Ovest dell’Eden. La versione della California di Chuck
Rosenthal unisce le visioni di John Steinbeck (anche il titolo contiene una
piccola citazione) e di Jack Kerouac a quelle di Bukowski e Hunter S. Thompson
riviste con una sottile, attualissima amarezza resa esplicita dalla convinzione
che “nulla nella nostra vita
funziona davvero. Nulla collega un momento all’altro, ma la nostra convinzione
è che le cose funzionino”. Nel gioco della rifrazione tra la realtà e il vero,
Shark Rosental ha un’epifania quando giunge “a scoprire che c’erano molte
illusioni a cui gli americani credevano, dalle assicurazioni sulla vita alle
polizze varie, al credere che la cosa che hai comprato e pagato ti sarà
consegnata a domicilio. Fino all’illusione di vivere in una casa o in un cosmo
funzionante”. A Ovest dell’Eden vince il premio Pesca alla trota in America perché surreale non è il giornalismo
magico di Chuck o Shark Rosenthal, è il mondo (e il modo) in cui viviamo e
nessuno l’aveva (ancora) raccontato così.
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