C’è qualcuno convinto che, proprio da un punto di vista astronomico e scientifico, all’origine dell’universo non ci sia un’esplosione o un’implosione, ma piuttosto una complessa serie di onde e di vibrazioni che hanno generato il fantomatico Big Bang. C’è qualcun altro, Charles Darwin (non uno qualsiasi), che ha messo la musica in un ruolo fondamentale (al centro) “della selezione sessuale nelle funzioni della selezione naturale”. Questo possiamo capirlo con facilità anche noi, ma, scherzi a parte, non ci sorprende quanto la musica sia importante nella definizione dei rapporti tra Caos, territorio, arte che Elizabeth Grosz sviluppa in modo eccellente, mostrando una conoscenza sterminata, profonda e matura, ma anche una certa eleganza nel condividerla con il lettore. Il tema, ed è evidente, è filosofico perché “la filosofia inventa concetti per creare una coerenza dal caos. L’arte inquadra o compone il caos in modo che sia possibile produrre e far proliferare sensazioni, la scienza opera per rallentare il caos, per estrarne limiti, costanti, misure”, e una volta sottolineate le differenze si torna alle origini primordiali, a quella nebbia rossa in cui il caos genera una forma d’arte che, in fondo, è la risposta della presenza degli esseri umani su un territorio. I passaggi sono sviscerati nel dettaglio da Elizabeth Grosz così: “L’arte dunque cattura entro una cornice un elemento del caos, un frammento, e da esso o estrae non un’immagine o una rappresentazione, ma una sensazione o piuttosto un insieme o una molteplicità di sensazioni”. Si potrebbe fraintendere, ovvero scambiare l’emozione con il caos, due elementi che non rispondono a logiche coerenti e/o razionali, ma i processi del pensiero in Caos, territorio, arte sono troppo precisi per cadere nella tentazione di semplificare, per cui le definizione non lasciano nulla in sospeso. Procedendo nell’ordine suggerito dal titolo, per quanto riguarda il concetto di caos “viene anche esplicitato o evocato attraverso altri termini: l’esterno, il reale, il virtuale, il mondo, la materialità, la natura, la tonalità, il cosmo”. L’apparizione dell’imprevisto musicale a legare i tre elementi in discussione è rivelatoria perché, scrive Elizabeth Grosz “ogni persona canta la terra e il proprio corpo e li porta a esistere solo identificando quegli elementi terrestri che si legano al proprio corpo e alle proprie esigenze fisiche o si pongono in contrappunto con questi: la terra, per quanto rarefatta e astratta, contrassegna ancora ogni corpo ed è la condizione di tutte le capacità artistiche di ogni corpo. Proprio perché la terra lo incornicia e lo avvolge, il corpo può cantarla e cantare le storie della sua origine”. E’ lo stesso walkabout, lo stesso percorso seguito da Bruce Chatwin lungo “le vie dei canti” e le intersezioni tra Caos, territorio, arte diventano sempre più evidenti, grazie a un’esposizione, quella di Elizabeth Grosz in grado di rendere chiara tutta la sua esplorazione filosofica, neanche fosse un romanzo.
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