Per le vacanze natalizie, a cavallo tra il 1943 e il 1944, Andy Catlett si trasferisce in campagna dai nonni materni e paterni. La trasferta non è poi così epica: la distanza è relativa, la geografia non cambia. Però è il suo primo viaggio da solo ed è l’occasione per sviluppare un punto di vista singolare. All’arrivo, l’osservazione è puntuale ed eloquente: “Era un mondo collocato fermamente dentro le stagioni sotto la piena luce del giorno e l’oscurità assoluta. Pensavo che fosse sempre stato così e che sarebbe rimasto così per sempre”. Il breve percorso è un grande salto che suggerisce una visione più ampia, pur partendo dalle ridotte dimensioni del villaggio, anche perché “viaggiare, specialmente da soli, esprime sempre un potere metaforico”. Quando scende dall’autobus, riscopre un’atmosfera di un altro secolo e lì parte il confronto tra due epoche diverse: quella a trazione animale e quella dei motori a combustione interna, una distinzione che si identifica anche nella differenza tra i due rami dell’albero genealogico. Una dolcezza inusitata pervade le scoperte di Andy Catlett che è un ragazzino educato, ma abbastanza curioso da sviluppare un’intera cosmogonia in un piccolo villaggio agricolo, legato allo scorrere delle stagioni e ai ritmi naturali del clima e degli animali. Wendell Berry è accurato nel mostrare i valori della semplicità e della frugalità che si intravedono nella descrizione dei pasti, della convivialità e del rapporto degli adulti, ormai anziani, nei confronti di Andy. Si premura di notare che nell’insieme “era un’economia basata direttamente sulla terra, sull’energia del sole, sulla perizia individuale e sulla parsimonia, e sulla capacità delle persone di prendersi cura di sé stesse”. È un’annotazione specifica, tra le tante: Wendell Berry ha una grazia particolare nell’interpretare la percezione del piccolo Andy che si identifica in un “viaggiatore solitario” capace di entusiasmarsi per poco e di coltivare una sua collocazione tra stalle, cortili, laboratori e negozi occupati dagli adulti. Contando anche un bel po’ di riferimenti autobiografici, la constatazione di Andy risulta sincera e convincente: “Il mondo che ho conosciuto da bambino, non c’è dubbio, aveva i suoi difetti, ma era concreto e autentico”. Con i suoi occhi con la sua voce Wendell Berry trasmette la sensazione di un’era che sta sfumando dentro un’altra con l’ombra della guerra che incombe ed evidenzia tutta la fragilità di una small town nella prima metà del ventesimo secolo. Non dimentica il “massacro”, le persone che se ne sono andate, quelle che sono tornate mutilate e tutte le restrizioni dovute allo sforzo bellico, come viene puntualmente notato: “A quei tempi c’erano limiti di ogni tipo, sufficienti a ricordare anche a un bambino che al di là del mare c’erano persone che combattevano e venivano ferite e uccise a qualunque ora del giorno e della notte”. Grazie ad Andy le differenze tra i secoli emergono in una lunga teoria di dettagli (le stufe economiche e la luce elettrica, il carro trainato dai muli e le automobili e l’autobus) che vengono ben distinti con l’osservazione e con arguzia. Quel passaggio storico coincide con la scoperta della perdita e un grado di crescita che riserva una sorpresa dietro l’altra. Nella semplicità della scrittura di Wendell Berry, che ha una rude eleganza, le contrapposizioni sono vitali: come si capirà inoltrandosi nella trama, Andy è già adulto mentre dispiega la sua esperienza rurale, finché ricorda: “Eravamo entrati nel silenzio più profondo di tutti: il silenzio di ciò che deve ancora venire, di chi aspetta ciò che deve ancora venire”. Un racconto incantevole che riesce a cogliere le sfumature dei colori, gli odori e i profumi del cibo, e nello stesso tempo, i limiti, i conflitti e le contraddizioni di un futuro spietato.
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