C’è una logica nel cominciare Il sentiero per il Paradiso richiamando l’interminabile assillo di Apocalypse Now, un film che è tutto un universo a parte. Lo ammette lo stesso Francis Ford Coppola quando dice: “Siamo tutti prodotti di questa terra primitiva proprio al pari di un albero o di un indigeno che se ne va in giro urlando. L’orrore di cui parla Kurtz non viene mai risolto. Man mano che Willard si addentra nella giungla, si rende conto che la civiltà che l’ha mandato è in un certo senso più selvaggia della giungla. Insomma, quella guerra l’abbiamo creata noi”. Apocalypse Now ritorna a ciclo continuo, è un’esperienza che determina il ritmo di tutta la Storia di Francis Ford Coppola fin dallo script di John Milius, quasi a confermarne il suo fondamentale assioma: “La realtà in cui viviamo va al di là delle nostre percezioni immediate”. Mettere in primo piano lo sviluppo incontrollabile di Apocalypse Now è una scelta che ha senso perché Coppola non è soltanto un regista visionario, capace di realizzare “film/mondo”. È stato un precursore che aveva intuito la necessità di possedere i mezzi di produzione, di comprenderli e di svilupparli. Il ruolo della tecnologia, dalla pellicola al digitale, ha un peso determinante nella costruzione degli Zoetrope, l’utopia possibile di una cinematografia senza limiti, come ben delineato dal regista: “La mia idea di studio perfetto era: fai un film con una reale possibilità di enormi guadagni e poi ne fai un altro con zero possibilità di guadagni, ma uno protegge l’altro”. Non era soltanto quello: c’è il proposito costante di modellare “un mondo da sogno”, ma la vera sfida, come ha visto giusto Sam Wasson, era “creare la vita reale”. Il paradosso è ben spiegato dallo stesso Coppola: “La mia tecnica per fare film consiste nel trasformare l’esperienza fotografica, per quanto possibile, nell’esperienza della finzione (qualsiasi essa sia) di cui ci stiamo occupando”. Gli sforzi economici per garantire questa percezione sono una saga nella saga che viene narrata come un’avventura piratesca. Coppola, sempre in bilico tra successo e bancarotta, nella documentatissima biografia di Sam Wasson non è un corpo estraneo alle logiche di Hollywood, ma Il sentiero per il Paradiso è un vademecum dei rapporti di forza dentro, intorno e dietro alle produzioni californiane. Nonostante gli Oscar e Il Padrino, il rapporto è conflittuale: Coppola insegue un’idea di indipendenza molto pericolosa per lo status quo. Spunta persino uno striscione che dice: “Non scherzare con la Grande Hollywood, sogna come ti viene ordinato”, ed è qui il punto perché per Coppola non è soltanto fare un film, la vera questione è come farlo: “I miei film sono insoliti, in parte perché considero l’arte un’avventura”. Per questo, Apocalypse Now è un’onda che riemerge a cicli regolari, fino alla fine: è stata, sì, un’immersione totale nella guerra del Vietnam e nel “cuore di tenebra” di Conrad, ma è l’espressione più intima, profonda ed esplosiva (in tutti i sensi) della personalità di Francis Ford Coppola. Ed è così che Sam Wasson ne descrive le gesta trasformando la vita e la carriera, trascorse “facendo cinema praticamente alla velocità della propria immaginazione”, quasi in un avvincente romanzo che delimita una bella fetta del cinema e della cultura lungo tutto l’arco del ventesimo secolo e di parte di quello successivo. Trascinante nel racconto, che si inoltra nei dettagli personali, a partire dalla famiglia per finire con le amanti, prodigo di dettagli nei riferimenti cinematografici e letterari, così come nelle vicissitudini finanziarie della Zoetrope, Il sentiero per il Paradiso ci porta nell’atmosfera turbolenta di un grande sognatore, capace di affrontare i momenti più difficili con una festa, un piatto di pasta e la musica ovunque, perseguendo “lo spirito di libertà, anarchia, follia e comunità” che l’ha distinto. Nella testimonianza di un osservatore privilegiato, Vittorio Storaro, diventa evidente che per Coppola “non c’è differenza tra vivere in famiglia, dirigere e girare”. Questo afflato supera il senso dell’arte in sé e diventa una sorta di monito filosofico nelle parole dello stesso regista: “Nel cinema e nella vita ti succedono cose straordinarie e sta a te farle diventare positive, perché la buona notizia è che non esiste l’inferno, ma la quasi buona notizia è che questo è il paradiso. Quindi trasformate lo straordinario in paradiso. Perché dipende da voi. Non sprecate il paradiso. E lo stesso vale per i film”. Anche Kurtz e Willard sarebbero d’accordo, B-52 permettendo.
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