mercoledì 18 dicembre 2024

Derek Walcott

Per quanto l’origine delle poesie che costituiscono la Mappa del nuovo mondo sia una parziale ed eterogenea selezione che va dal 1948 al 1984, qui viene rappresentata una bella porzione della scrittura di Derek Walcott. Il mare è protagonista in ogni pagina e i versi ondeggiano gioiosi come succede già in Un canto di marinai: “La musica si dispiega con le morbide vocali delle insenature, il battesimo dei vascelli, i documenti di viaggio, i colori delle uve marine, l’asprezza dei mandorli marini, l’alfabeto delle campane, la pace di bianchi cavalli, i pascoli dei porti, la litania delle isole, il rosario degli arcipelaghi”. La vita nell’oceano ha molte variabili (“Nel film delle 12.30 è meglio che i proiettori non si guastino o vedreste la rivoluzione) che vanno dalle condizioni climatiche (“C’è una luce dannatamente strana, in questa stagione il cielo dovrebbe essere chiaro come un campo”) alle necessità della cambusa fino a legami superiori e incredibili (“Se ascolto posso udire il polipo al lavoro, il silenzio infranto da due onde del mare”). Come scrive Iosif Brodskij nell’introduzione di Mappa del nuovo mondo: “L’atto di conferire a un luogo lo status di realtà lirica comporta più immaginazione e più generosità che non l’atto di scoprire o sfruttare qualcosa che era già stato creato”. Schiuma, riflessi, isole, barche, promontori, leviatani: nei versi di Derek Walcott scorre una visione panoramica fluttuante e rigogliosa, ricca della consapevolezza che “l’arte è profana e pagana” ed è l’ultima spiaggia prima della dissoluzione, come precisa ancora Iosif Brodskij: “Poiché le civiltà sono qualcosa di finito, nella vita di ognuna viene un momento in cui il centro non tiene più. Ciò che allora le salva dalla disintegrazione non è la forza delle legioni, ma quella della lingua”. Per Derek Walcott, figlio di una colonia, significa trovare un’identità all’interno di frangenti storici e geografici mutevoli, sfuggenti e sorprendenti. In un verso che ha colpito lo stesso Brodskij, La goletta Flight declama: “Io sono solamente un negro rosso che ama il mare, ho avuto una buona istruzione coloniale, ho in me dell’olandese, del negro e dell’inglese, sono nessuno, o sono una nazione”. Questa definizione assume un ruolo particolare nelle circostanze in cui si profila all’orizzonte “la morte di un grande impero”, quando Derek Walcott riflette: “Un tempo pensavo che bastasse l’amore per il proprio paese, ora, anche a scegliere, non c’è posto al trogolo”. Ritrovare il senso di un habitat è difficile perché “questo ci hanno lasciato quei bastardi: parole” e “ora non avremo altra nazione che l’immaginazione”. Il successivo disorientamento è palese in Preludio: “Noi perduti; trovati solo in opuscoli turistici, dietro ardenti binocoli; trovati nel riflesso blu di occhi che hanno conosciuto metropoli e ci credono felici, qui”. Una cruda distinzione: la Mappa del nuovo mondo è una fioritura continua che, nelle fratture, nelle ferite (“C’è troppo nulla qui”) e nelle contraddizioni, trova un orizzonte ineludibile, quando in Codicillo afferma che “per cambiar lingua devi cambiare vita”. È solo il preludio all’ultima e precisa definizione di Concludendo: “Ora, non chiedo nulla poesia, se non vero sentire”, ed è tutto lì, molto chiaro e molto semplice. Finché, “artigiano e naufrago tutto il paradiso nella testa”, Derek Walcott si confessa dicendo: “Io che ho per sole armi la poesia e le lance delle palme e lo scudo splendente del mare”. Poi, seguendo l’onda che lui stesso ha generato ammette che deve “leggere più attentamente” con l’ambizione proclamata in grande stile in Vulcano: “Si potrebbe anche smettere di scrivere per seguire i segnali dei grandi, un lento fuoco, e diventare, invece, il loro lettore ideale, ruminante, vorace, che antepone l’amore per i capolavori al tentativo di ripeterli oppure superarli, e diventare il più grande lettore al mondo”. Ottima idea.

Nessun commento:

Posta un commento