La canzone che Tom Waits canta da un ispirato jukebox dice che “c’è una casa nel mio isolato, che è abbandonata e fredda delle persone se andarono da lì tanto tempo fa, e presero tutte le loro cose e non tornarono più indietro sembra come stregata con le finestre tutte rotte e tutti la chiamano la casa, la casa dove nessuno vive”. Per Follard, solitario e piromane, che sta architettando un disastro e la ascolta mentre mangia “luccio e patatine”, è una canzone “triste”. Per la cameriera che gli avvicina con i dessert che hanno “un’aria vecchia e rinsecchita”, non di meno è “una cazzo di canzone tristissima”. Può essere, ma il senso di A caccia nei sogni è proprio nel refrain di House Where Nobody Lives, quando dice: “Ciò che rende splendida una casa non sono i tetti o le porte se c’è amore in una casa sicuramente è un palazzo, senza amore… Non è altro che una casa, una casa dove nessuno vive”. Fin dall’inizio, nella Grouse County ritorni e partenze sono determinanti per trovare un posto da chiamare “casa” e se “finché non si è indipendenti ci si accontenta di un letto improvvisato, sognando il letto robusto e bello che un giorno o l’altro si avrà”, prima o poi “è una cosa sensata, in una certa misura” pensare di fermarsi tra quattro mura. Sarà per quello che i percorsi nella Grouse County si sono fatti più brevi e le sue frazioni non sono così numerose come in La fine dei vandalismi. Ne vengono attraversate più o meno sono la metà, visto che: a) il tempo tende a smussare gli istinti per la fuga e: b) “i fantasmi non scelgono dove andare”. Charles (che non vuole più essere chiamato Tiny) Darling è tornato a casa, sta cercando quel “senso di solidità” che a lungo gli è sfuggito, ha imparato un mestiere (l’idraulico) e a muoversi da animale domestico, compresa la riflessione che l’ha portato ad aver “capito troppo tardi quali erano le persone che voleva vicino e cosa avrebbe dovuto fare per non perderle”. Gli rimane un’ossessione nella forma di un fucile a cui è legato, ma che è rimasto nelle disponibilità di una vedova. Siamo in America e un’arma è più di un’arma. È un diritto sancito dalla costituzione e ribadito (in tempi recenti) dalla corte suprema. E così “Charles era convinto che un’arma andasse usata, una volta ogni tanto. Un fucile non poteva essere soltanto un oggetto decorativo appeso alla parete da una persona che non aveva alcun legame con il suo primo proprietario”. Charles e la sua idea fissa, proprio al contrario di quello che succedeva in La fine dei vandalismi, rimangono immobili al centro di una spirale di movimenti imprevisti. Arriva Lyris, Joan parte e trova il dottor Palomino, Follard vaga nei boschi e la tragedia incombe, ma Tom Drury ha tutta una sua gentilezza nei confronti dei spersonaggi, un modo per aiutarti a trovare una collocazione, anche quando se ne devono andare o sono sull’orlo del fallimento (quasi sempre) o sono proprio a metà strada, in transito, “a caccia nei sogni” o in balia degli eventi. Tom Drury li assiste da vicino i personaggi, non li lascia mai soli dato che s la Grouse County è un luogo dove non è difficile finire nei guai, nel caso chiedere a Follard, e alla sua passione per il cherosene. A sottolineare questa vicinanza, come se fosse lì, sono i dialoghi brevi, incisivi, espressivi. Un risparmio di parole che alla fine serve con tutti i piccoli rimandi e le connessioni tra i personaggi, soprattutto ad annodare i singoli racconti di quella comunità di storie che distingue lil territorio della Grouse County. Non c’è consolazione in A caccia nei sogni, ma almeno Tom Drury sente l’urgenza di avvertire che “il meglio che possiamo fare è ricordarci l’uno dell’altro e, per l’amor del cielo, fare una telefonata quando vediamo che è tardi”. Un’avvertenza più che opportuna, prima che le case restino vuote e fredde. Rimane sottinteso, nell’oggetto del desiderio di Charles Darling, la questione pubblica numero uno dell’America, che Tom Drury rende esplicita nell’acronimo “TCDA”, ovvero “troppe cazzo di armi”. Il vero dramma è quello lì.
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