Un uomo vero è Il falò delle vanità rivisto alla fine del ventesimo secolo: l’idea di “tessere i fili di una narrazione”, sperando “soltanto che si dipani naturalmente” porta Tom Wolfe a disseppellire i fotogrammi di un’era e ad aggiornarli. A modo suo perché, come ha detto presentando Un uomo vero nella sua complessità “la maggior parte degli scrittori dice di scrivere qualcosa di cui si conosce. Non c’è niente di male, ma c’è sempre qualcosa di limitante nel mettere una sorta di recinto attorno a chi sta scrivendo”. È vero, si è preso tutte le libertà necessarie, ma una crisi dopo l’altra, la storia non è andata molto diversamente. Per Un uomo vero come Charlie Earl Croker, il self-made man protagonista del romanzo di Tom Wolfe, è venuto il momento della verità: il suo mondo sfarzoso, fatto di jet personali, mogli e figli da mantenere in abbondanza, rischia il fallimento. Croker, un tycoon che ha imposto un nuovo skyline ad Atlanta, si è avventurato sull’onda lunga delle speculazioni finanziarie, quando ormai “le cose sono cambiate”. Una fase a cui Tom Wolfe dedica un lungo passaggio all’inizio di Un uomo vero, che nasce da una riflessione molto più ampia: “Penso che il ventunesimo secolo sia cominciato nel 1989, quando è caduto il muro di Berlino: l’America è oggi al suo zenith e questo è il suo secolo e l’America è il paese in cui tutti vorrebbero essere. È libero, sano ed eccitante”. Lo spot contiene molta della pungente ironia che distingue Un uomo vero come un “romanzo sociale” (la distinzione è dello stesso Tom Wolfe) e nello stesso tempo offre la cornice in cui si svolge la rovinosa caduta di Croker. Dopo l’euforia degli anni delle reaganomics, un periodo in cui la cognizione di debito è stata stravolta fino alla radice, le banche scoprono voragini e sperperi e cominciano a rastrellare i crediti che ancora sono esigibili, prima che sparisca tutto nel nulla (compresa la loro parte del bottino). Il dato economico è solo una componente della dimensione delle distorsioni del potere, visto che Croker e i suoi accoliti “erano persone di cultura che discutevano di prestiti, di edifici e di magazzini alimentari, ma dovevano ridurre sempre tutto a sesso, o a sesso e merda”. È una lotta per la sopravvivenza che non ha ruoli definiti, e Wolfe è abilissimo nel tracciare le coordinate di quell’intreccio tra finanza, mondanità, politica e vita quotidiana in una città ambiziosa e complessa come Atlanta. S’incrociano destini impossibili, e ad un tratto, diventa chiara tutta la sequenza dei legami che possono unire ambienti apparentemente distanti e diversi tra loro: la working class di Oakland, California (dove l’altro personaggio del romanzo Conrad Hensley si ritrova nella disperazione), l’establishment politico di colore e il gotha finanziario bianco, Un uomo vero che si è costruito una fortuna da solo (ed è interessante leggere quale doppia funzione possano rappresentare il credito per lui e per i suoi banchieri) e il brusio in sottofondo alle mostre di arte contemporanea. Tom Wolfe non fa che elevare all’ennesima potenza la sua specialità, ovvero “esplorare e descrivere meglio che posso i mondi in cui si muovono i miei personaggi” e si dimostra un cronista infallibile, e divertente (che non guasta mai). In Un uomo vero, l’obiettivo è raggiunto: il nuovo falò delle vanità si consuma attorno a uomini e donne e, per estensione, a un’intera città, sono così presi dall’orgoglio, dalle voglie sessuali e dalle ambizioni politiche da non accorgersi nemmeno del proprio fallimento.
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