venerdì 23 febbraio 2018

Charles Bukowski

Le cronache settimanali sul Los Angeles Free Press sono un pozzo senza fondo nell’epopea di Charles Bukowski. La sua rubrica, il Taccuino di un vecchio sporcaccione, ha fornito pagine e pagine che sono confluite in gran parte nel libro omonimo e che trovano una nuova collocazione in La campana non suona per te. È il suo apprendistato, tenendo conto che per il Buk “il modo migliore per studiare scrittura creativa è vivere”. Sfilano prestazioni erotiche che spesso si trasformano in avventure surreali, vanno in scena epici scontri verbali (“Puro cinismo”? Puro allenamento”), vengono coltivate rovinose abitudini che ruotano attorno a necessità limitate: sigarette, alcol, sesso. L’ordine del giorno varia a seconda dell’umore: Bukowski è convinto che “deve essere magnifico avere una mente omologata alla massa, qualcuno ti dice che sei un essere umano e tu ci credi”, di conseguenza è il principe degli outsider in esilio nella sua stessa stessa città. Il suo incedere traballante non deve ingannare: il Buk si è accorto che “il mondo era soprattutto per gli altri” e non si tormenta più del tanto nelle camere illuminate dalle insegne al neon, con luce che entra da fuori perché dentro è solo buio. È facile immaginarlo in quell’alone, versarsi un po’ di vino, scrollare la cenere e fare il punto della situazione: “La vita è stata bella, orribile ma bella e pochi eroi ci hanno dato la spinta per andare avanti. Forse eroi scelti male, ma chi cazzo se ne frega”. Bukowski nella versione più cruda e grezza è una macchina da scrivere che non conosce soluzione di continuità, che procede senza distinguere una vita dall’altra, che imperversa su e giù per Los Angeles infilandosi in tutti i guai, e più sono incomprensibili, e meglio è. Giova ricordare che, per quanto nei suoi bassifondi, siamo nella capitale del cinema e Bukowski vede la vita scorre come “un film al rallentatore senza poterlo fermare. È una cosa di rara bellezza. Non posso fermarlo. Non voglio fermarlo. È Cary Grant. Fossetta sul mento per l’eternità. È l’insieme di tristi cose meravigliose e orribili. È qualsiasi cosa, le stronzate che ho fatto senza cuore e tutte le stronzate che farò in futuro senza cuore, e tutte le stronzate che verranno fatte, tanto per, a te e a me e a tutti quanti”. Si può credergli e si può dubitare delle sue invenzioni pirotecniche, ma bisogna ricordare che Bukowski popola la sua rubrica con “brandelli d’anima” collezionati con un vocabolario limitato e con un un particolare senso dell’umorismo che spesso sfocia nel nonsense o nel sarcasmo. Irriducibile, incorreggibile, consapevole di essere dalla parte sbagliata della strada, Bukowski ha il dono inalterato della sincerità perché in cima a tutte le puntate del Taccuino di un vecchio sporcaccione concede uno dei paradossi che da solo regge la sua intera filosofia di vita: “Facciamo cose senza sapere il perché e dopo non ci interessa più il motivo per cui le abbiamo fatte”. È davvero così e tra l’altro è proprio con queste pagine che lo scopre Tom Waits, ed è amore a prima vista: “Pensavo fosse incredibile. Questo tizio è lo scrittore del secolo e pubblica su questa specie di carta straccia, il che mi pareva abbastanza poetico e perfetto”. Fantastici, tutti e due.

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