Inseguendo
il gusto della sorpresa, dello scherno, dello sberleffo, Il grande
Guy incarna uno spirito dispettoso e tormentato, che si diverte a
irretire, provocare, stuzzicare e spargere zizzania, tutto in nome
del denaro, che deve sborsare per rimediare ai danni dei suoi
scherzi. Mecenate facoltoso e visionario, con interessi diversificati
e risorse economiche a quanto pare illimitate, Guy Grand è annoiato
e turbato da quello che è diventato e guardando i suoi colleghi di
tante scorrerie finanziarie, si vede come “un riflesso della loro
stessa pochezza: membro di club, personaggio da invitare a pranzo,
una minaccia, un uomo la cui società rappresentava una promessa e
insieme un pericolo”. A quel punto cominciano tutti gli scherzi che
costituiscono la trama e la spina dorsale del breve romanzo di Terry
Southern e che mettono alla prova molti luoghi comuni: proietta film
rallentati e al contrario, paga dei pugili per interpretare la boxe
in una chiave davvero inedita e se ne a caccia con un obice da
settantacinque millimetri, un’arma impropria perché il rinculo lo
sbalza a dieci metri “dove arrivava come uno straccio, ovviamente
privo di sensi”. Un colpo è sufficiente a mettere in fuga tutta la
selvaggina, e così finiscono anche i safari del grande Guy. Ogni
volta le rappresentazioni di quello che, in effetti, è un mondo al
contrario, generano stupore, imbarazzo, disorientamento, soprattutto
perché non sono chiari i motivi che spingono Il grande Guy a
dilapidare una fortuna in quel modo. Finché, di fronte all’ennesima
provocazione, qualcuno si chiede: “E se si trattasse di una sana
satira dei mass-media?”, domanda si adatta alla perfezione
anche per il romanzo in sé. Comunque sia, Il grande Guy
continua imperterrito e ogni volta alza il tiro, fino alla creazione
di una crociera su una nave di follie, una specie di sontuosa parodia
del Titanic, e alla generazione, nel capitolo conclusivo, di una
caricatura degli sconti commerciali che scatena orde di famelici
consumatori in cerca del negozio più conveniente, che nel frattempo
è sparito o si è trasferito dall’altra parte della città. E’
quello che lascia credere il perfido meccanismo studiato da Guy
Grand, almeno le folle ipnotizzate dai pressi impensabili “così
potevano concludere che non si era trattato di un sogno, non solo, ma
che il miracolo era ancora in corso”. La feroce ricostruzione di
una società votata ai consumi e all’avidità è sempre mitigata
dall’ironia e dalla una leggerezza, anche naïf,
volendo, di Terry Southern, sempre disposto a un tono
accondiscendente, colloquiale, poco spigoloso, umoristico, come è
nella tradizione di Mark Twain o del contemporaneo Richard Brautigan.
Terry Southern, in realtà, ha però una percezione critica e
caustica che filtra nelle battute e negli aneddoti di Guy Grand che
induce a una seria riflessione sulla concezione stessa del libero mercato,
che, proprio nella sua natura, è “capriccioso”. Un modo di dire
la verità, ovvero che è molto pericoloso, con una congrua dose di
senso dell’umorismo, non a caso, la cifra finale che definisce Il
grande Guy.
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