martedì 26 dicembre 2017

Joni Mitchell

Una sorta di autobiografia si snoda in tre fitte conversazioni con Malka Marom, a sua volta cantante trasformata in giornalista, e amica di Joni Mitchell. L’occasione è propizia per attraversare mezzo secolo e, da un punto di vista ideale, sono due le canzoni che delimitano Both Sides, Now perché “se il passato e il presente sono intrecciati, le tue azioni recenti mettono in moto ciò che sta accadendo ora. E’ una concatenazione di eventi lunga e misteriosa”. La prima è la celebre Woodstock il cui ritornello (“Siamo polvere di stelle, siamo d’oro, e dobbiamo fare in modo di tornare nel giardino”) è la dimostrazione concreta che “si può sempre riavere la propria innocenza se si provano sessanta secondi di stupore e incanto”. Curiose, paradossali e rivelatrici le circostanze in cui è nato il simbolo di un’epoca così, come le ricorda la stessa Joni Mitchell: “Non so perché Woodstock mi commuovesse tanto. Le prime due o tre volte che l’ho eseguita in pubblico mi sono dovuta fermare, tanto ero presa dall’emozione. Credo fosse perché a Woodstock non c’ero andata ma l’avevo vista in televisione, e mi era sembrata una cosa incredibile, il fatto che in quelle circostanze la gente si fosse aiutata a vicenda”. Un punto di non ritorno si intravede in un verso di Come In From The Cold (l’album è Night Ride Home e siamo già nel 1991) che dice: “Volevo soltanto entrare a ripararmi dal freddo”. Tra questi due estremi, in Both Sides, Now c’è tutto il senso per l’arte di una donna che ha rubato alla vita, lottando con una sensibilità che “è guardata quasi con disgusto dalla società, mentre è una ricchezza, dà tante gratificazioni. Ti permette di sentire cose che gli altri non sentono, come i cani che sentono certi suoni acuti”. Una sfida costante, continua, laboriosa, spesso dolorosa, sempre faticosa, contro “la nostra modernità ignorante” in una delle sue accezioni più banali, ovvero l’industria dell’intrattenimento. La lotta per l’originalità è uno dei temi su cui Joni Mitchell si sofferma spesso e volentieri, sapendo che “le cose grandi arrivano quasi sempre sul ciglio di un errore. Quello che arriva dopo l’errore è spettacolare. Perciò se ti fissi sugli errori ti perdi la magia”. Il confronto con una carrellata di musicisti geniali e molto poco politically correct, che va da Jaco Pastorius a Charles Mingus, da Bob Dylan a Leonard Cohen, le rivela che “in questa società di specialisti, il mio destino è quello di essere considerata una dilettante”, ma forte delle letture di Kipling e Nietzsche, delle visioni di Picasso e Van Gogh, o degli ascolti di Duke Ellington, Charlie Parker e Lester Young, Joni Mitchell è riuscita a capire che “se non possiamo fare a meno di guardare l’illusione, questa si spezza. Sai sempre di star creando un’illusione, non importa quanto ti sforzi di essere sincero”. Saperlo le è servito per costruire un intero vocabolario emotivo che, proprio nelle canzoni, ha trovato la sua espressione: “Uno dei miei interessi principali nella vita è quello dei rapporti umani, delle interazioni e dello scambio di emozioni, da persona a persona, fra individui, oppure su scala più ampia, con un pubblico”. In questo caso specifico, che poi ha occupato gran parte dei risultati del suo songwriting, la voce in diretta di Joni Mitchell (“L’amore è un sentimento molto difficile da tener vivo. E’ una pianta molto fragile, ecco. E’ un sentimento particolare, perché soggetto a tanti cambiamenti. Il modo in cui lo si prova all’inizio di una storia e tutti i cambiamenti che subisce”) e quella nelle canzoni si alimentano a vicenda (“L’amore richiede tanto coraggio, l’amore si prende tanti di quegli accidenti” canta Face Lift) in un flusso inarrestabile che trova nelle parole di Both Sides, Now la sua definizione: “Ormai ho visto la vita da entrambi i lati, vincere o perdere, eppure, chissà come quel che ricordo sono illusioni, cos’è davvero la vita non lo so”. Fin troppo sincera.

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