lunedì 24 luglio 2017

Harold Bloom

La definizione di un canone presuppone un vincolo e per Harold Bloom coincide con quella che chiama la “differenza americana”. Comincia quindi con l’identificazione di limiti e confini indefinibili perché “gli Stati Uniti, considerati come un esito finale della cultura occidentale, non sono mai stati un vuoto da riempire”. Le urgenze dichiarate partono dal “bisogno di guarire dalla violenza, a prescindere che venga dall’esterno o dall’interno” all’essenza di una libertà sfuggente perché “non ci sono fondamenta da dover accrescere”, necessità che si riversano nella “quadruplice metafora americana della notte, della morte, della madre e del mare, che per noi è diventata imperitura”. I contrasti non finiscono qui. Nella suddivisione dei suoi prescelti, Walt Whitman, Herman Melville, Ralph Waldo Emerson, Emily Dickinson, Nathaniel Hawthorne e Henry James, Mark Twain e Robert Frost, Wallace Stevens e T. S. Eliot, William Faulkner e Hart Crane, l’istinto critico di Harold Bloom è impegnato nella contrapposizione, piuttosto che nella ricerca di similitudini, scrutando persino nelle vite private, in cerca di qualcosa in più dell’eccellenza estetica e formale, a caccia del “demone” e soprattutto di quella “sensazione di qualcosa di pervasivo che trasfigura un momento, un paesaggio, un’azione o un’espressione naturale”. E’ chiaro che in questo senso Il canone americano tende a rispondere a requisiti universali, che Harold Bloom precisa così: “Un’individualità che aspira senza fine alla libertà dal passato è destinata a resistere alle effettive sovradeterminazioni che ci legano tutti nel tempo. Finalmente veniamo affidati a una riva terrestre e cerchiamo iscrizioni commemorative, frammenti ammucchiati contro le nostre rovine: un intervallo e poi scompariamo. La letteratura alta si sforza di allungare questo periodo: intorno a questi dodici autori ruota, secondo me, la proliferazione della coscienza grazie alla quale continuiamo a vivere e a scoprire il senso dell’essere”. Sui dodici preferiti che istituiscono Il canone americano aleggia costante lo spirito di Shakespeare, insieme disseminando a tanti piccoli risvolti autobiografici, in gran parte riferiti alla vitale esperienza dell’insegnamento, che Harold Bloom dissemina nelle pagine, mentre alterna analisi lineari e trasparenti a riflessioni più criptiche, che sconfinano nella filosofia, anche se nel complesso Il canone americano offre un saggio rapporto tra ricchezza e accessibilità, sempre nell’idea che “dovremmo condividere una visione in cui la letteratura più alta diventa uno stile di vita”. E’ un richiamo, esplicito, alla “finzione suprema” di Wallace Stevens e Il canone americano diventa allora un modo più ampio per sostenere che “poesie, romanzi, racconti e drammi contano soltanto se contiamo noi. Ci offrono il dono di una vita che prosegue, a prescindere dal fatto che inaugurino oppure no un tempo senza fine”. Nella cernita, Il canone americano si estende ai miti e ai classici consolidati, ma anche in questo caso, avverte Harold Bloom, “tuttavia, scegliamo che cosa citare e come riformularlo. Omero e Platone, Dante e Chaucer, Shakespeare e Cervantes sono creatori primari. Odisseo e Socrate, Dante il Pellegrino e Chaucer il Pellegrino, Amleto e Don Chisciotte danno origine ai significati. Il loro lavoro ispira gli interpreti primari: Montaigne, Emerson, Nietzsche, Kierkegaard, che definiscono i limiti e le possibilità per trasmettere i significati e poi trasmetterli in forma di saggezza. Dove si può trovare la saggezza? I poeti, nei quali si annida l’imprudenza, confortano e consolano anche quando non illuminano”. Fedele alla sua natura, Il canone americano si estende nei richiami all’amicizia con Robert Penn Warren, ai confronti con Frank Kermode, William James e Walter Pater a cui è riservato un posto d’onore, in conclusione: “Disponiamo d’un intervallo, e poi il luogo che è stato nostro non ci conosce più. Taluni spendono quest’intervallo nel languore, taluni in ardenti passioni, i più saggi almeno tra i figli di questo mondo, nell’arte e nel canto. Ché l’unica nostra opportunità sta nell’ampliare quell’intervallo, nel far entrare il maggior numero di pulsazioni possibile nel dato tempo. Grandi passioni posso darci questo accelerato senso della vita, dell’estasi e l’affanno dell’amore, le varie forme dell’attività entusiastica, disinteressata o meno, che prendono naturalmente molti di noi. Assicuratevi solo che si tratta di passione, che effettivamente vi dà questo frutto d’una coscienza accelerata, moltiplicata. Di tale saggezza, la passione poetica, il desiderio della bellezza, l’amore per l’arte, ha il massimo. Poiché l’arte viene a voi proponendovi francamente di non dare altro che la qualità più eletta ai vostri momenti mentre passano, e non avendo di mira che quei momenti”. Una lezione che non finisce mai.

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