domenica 29 novembre 2015

Pedro Pietri

Diceva Miguel Algarín: “Il poeta vede la propria funzione come quella di un trovatore. Narra alle strade il racconto delle strade”. Era proprio quello il ruolo principale di Pedro Pietri, solo che lo interpretava a modo suo, seguendo l’istinto più di tutto, e restando incollato a quel proposito che ripeteva sempre: “Non voglio parlare di quello che succede nella vita reale perché allora finirei per mentire”. Ne parlava, eccome, e l’umanità degli scarafaggi e delle cause perse di Pedro Pietri si rivela, poesia dopo poesia, una visione eccentrica, eppure stimolante, non addomesticata, incorreggibile. La sua lingua è inafferrabile, tambureggiante, un modello di carta vetrata che la poesia e l’America non hanno più in catalogo. Basta una piccola selezione delle sue Cabine telefoniche, schizzi di vita quotidiana nelle strade di New York e impressioni di un artista fuori servizio, come si descriveva nella Cabina telefonica 972: “Quando non sono in giro e qualcuno giura d’avermi visto nel periodo in cui non mi sono visto io (quel che faccio allora è andare di filato a casa per sognare a occhi aperti d’essere in qualche altro posto) finché diventa una noia e accendo le luci spegnendole”. A volte sono frammenti di dialoghi a cui manca l’esatta metà, avvisi ai naviganti di relazioni claudicanti come il messaggio della Cabina telefonica 580: “Non ci sarò per colazione come ti avevo promesso ma tu non starci troppo male prendi le ciambelle incollale al soffitto e quando ti vien fame fatti un paio di salti”. Ancora di più, quello della Cabina telefonica 801, un calembour che ben rappresenta i coloriti toni di Pedro Pietri: “No certo che no non guardo un uomo come guarderei una donna c’è una bella differenza in un caso mi tira da matti nell’altro no, ma non ti dico qual è l’uno e qual è l’altro, se vuoi proprio saperlo comincia a toglierti qualcosa”. Se il primo strato appare luccicante, per via dei riflessi di quell’ironia brillante e tagliente, sbucciando i versi emerge davvero lo spirito del troubadour, la lucidità dei sognatori indefessi, dei fuggitivi, dei bardi imprigionati nelle mura delle metropoli, New York nel caso specifico. Il luogo, la terra di nessuno è proprio quella, come scriveva in Intermezzo da lunedì: “Devo lasciare la città, quando quel che vedi è quel che vedi e quel che non vedi non vedi e l’immaginazione è classificata come bagaglio eccedente all’aeroporto dove cornici per quadri sono cornici per quadri e le code si allungano sempre di più per biglietti di prima classe su uno scaffale dove un poeta è diventato poeta agli occhi di tutti tranne che ai suoi”. Quel retrogusto amaro e malinconico, complementare all’irrequieta voce di Pedro Pietri si rivela in Una poesia senza titolo (che, a ben guardare, c’è un motivo anche in quest’assenza) quando dice: “Non ho progetti per oggi o domani, i muri son già stati scrutati per bene. Ogni cosa è compresa incompresa, riesco solo a pianificare il passato di questi giorni”. Se ne è andato dieci anni fa, e il suo epitaffio potrebbe coincidere benissimo con la conclusione di Biglietto d’addio d’uno scarafaggio suicida in un complesso popolare: “Addio, mondo crudele, ne ho abbastanza di prenderlo in quel posto a causa delle tue parole incrociate. Non ci sarò quando cadrà la bomba, inoltra la mia corrispondenza alla tua coscienza, quando ne rimedi una”. 

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