La
Cronaca di un massacro di indiani è
un pamphlet di Benjamin Franklin che rilegge un episodio della vita
lungo la frontiera negli anni
precedenti l'inizio della guerra d'indipendenza americana. Siamo nel
1763
quando i Paxton Boys, una pattuglia di coloni di origini irlandesi,
massacra un manipolo di indiani Conestoga, senza alcun motivo
apparente. Le
notizie dell'epoca riportano un eccidio efferato, ma di dimensioni
numeriche ridotte, rispetto a scontri, guerre e guerriglie ben più
disastrosi. Solo che la strage avviene in un contesto politico già
squilibrato, su linee di confine, fragili e limitate che non
riescono più a definire con qualche margine di sicurezza i rapporti
tra i nativi, i coloni e gli inglesi. Le terrificanti scorribande dei
Paxton Boys non sono casuali: c'è un metodo nella concatenazione dei
loro assalti che si nutre del rifiuto delle leggi e degli accordi e
dell'apologia della violenza come strumento per regolare la vita (e
la morte) nella wilderness. Le motivazioni hanno sottili connotazioni
economiche e politiche che un altro testimone, il predicatore John
Woolman spiegava così: “La gente di frontiera tra cui tale male è
così diffuso, è spesso povera, e si avventura oltre i confini di
una colonia per poter vivere in maniera più indipendente da coloro
che possiedono la ricchezza, i quali spesso fanno pagare alti canoni
d'affitto per le loro terre”. Questa reazione a catena, sulle basi
dello sfruttamento della terra e degli uomini, lascia intravedere
nelle gesta dei Paxton Boys i germi della rivolta che porterà alla
guerra d'indipendenza. Le parole del pamphlet di Benjamin Franklin
lasciano intendere che quello è un solco ben preciso nella genesi
della nazione americana. Quello che contempla non è soltanto la
condanna, logica e spontanea, del massacro di civili inermi e delle
dinamiche in cui è maturato. Mette in evidenza anche la debolezza
delle istituzioni, del diritto, delle colonie, persino della
conoscenza dei nativi e delle terre che abitano. In un pamphlet
successivo, quando già gli Stati Uniti erano diventati una realtà,
Benjamin Franklin scrivevrà: "Chiamiamo selvaggi questi popoli
perché i loro costumi sono diversi dai nostri; che crediamo
rappresentino la perfezione della civiltà. Essi hanno la stessa
opinione dei loro. Se esaminassimo con imparzialità i costumi delle
diverse nazioni, forse troveremmo che, per rozzo che sia, non c'è
popolo che non abbia principi di buona educazione, e che non ce n'è
alcuno così educato che non conservi qualche residuo di barbarie".
Nella perentoria presa di posizione, in Cronaca
di un massacro di indiani,
non solo in difesa dei nativi, ma anche di una logica di vita civile
e pacifica, non
mancava l'affondo morale: “Concluderò dicendo che qualunque
codardo può maneggiare le armi, colpire dove sa che non vi sarà
reazione, ferire, mutilare e assassinare, mentre risparmiare e
proteggere è prerogativa degli uomini coraggiosi”. Tanta
ostinazione
gli guadagnò l'ostilità generale tanto da
costringerlo a lasciare l'America per Londra. Un esilio che non gli
ha impedito di diventare uno degli intellettuali fondamentali per
l'America anche e proprio per la sua predisposizione a cercare di
capirne le contraddizioni già agli albori della sua storia.
L'America
si è retta, e si regge da sempre, sul confronto degli opposti, su
una convivenza difficile e complessa, con una violenza pronta ad
esplodere in qualsiasi momento. Altro che melting pot.
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