martedì 21 dicembre 2010

Jack Kerouac

Scriveva Gary Snyder, uno dei maggiori responsabili dell’introduzione mistica di Jack Kerouac, che la poesia può essere “l’abile e ispirato impiego della voce e del linguaggio per incarnare rari e possenti stati della mente che quanto all'origine immediata sono peculiari a chi canta, ma a livelli più profondi sono comuni a tutti quelli che ascoltano”. Non c'è dubbio che la poesia sia stata per Jack Kerouac uno strumento privilegiato, una voce segreta per comunicare quanto di più intimo ancora riusciva a salvare dalle alluvioni di parole della sua prosa. E' successo lo stesso per la sua conversione buddhista che lo vede protagonista in questo La scrittura dell’eternità dorata. Non è l'unico volume che recupera quest’angolo della biografia di Jack Kerouac per certi versi ancora indefinito, ma è il più agile e il più a portata di mano. Nella sostanza, è un lungo poema meditativo dedicato alla consapevolezza (un termine caro ad Allen Ginsberg, tra l'altro) della fragilità del mondo e, tra le righe, alla ricerca di un equilibrio superiore che, come giustamente scriveva Eric Mottram nell’introduzione a La scrittura dell’eternità dorata “in questo secolo, forse più che in ogni altro raggiungere la pace interiore nella gioia attiva ha significato chiamarsi fuori dalle strutture di potere del proprio tempo”. Non so quanto conti la traduzione, ma forse al posto della parola strutture, andavano molto meglio relazioni o situazioni (come insegnava Michel Foucault) che rendono di più il concetto e che sono più vicine a quanto esprime Jack Kerouac in modo piuttosto risoluto: “Quando hai compreso questa scrittura, gettala via. Se non riesci a comprendere questa scrittura, gettala via. Insisto che tu debba essere libero”. La libertà non è relativa soltanto all’architettura sociale o a quello che veniva chiamato, per riduzione e per semplificazione, sistema o establishment, ma è qualcosa di strettamente interiore, legato ai rapporti con se stessi, con gli altri e con il mondo. O meglio, alla consapevolezza che non esiste alcun rapporto: “Questo mondo è pellicola di ciò che tutto è, l'unico film, della stessa sostanza da cima a fondo, non appartiene a nessuno, ciò che è quanto tutto è”, scrive Jack Kerouac in La scrittura dell’eternità dorata e probabilmente non c'è niente di altrettanto vero, reale, tangibile. Per lui, cattolico e vagamente inconcludente sul piano religioso, il buddhismo non è altro se non una meta di una propria ricerca umana che l’ha portato sulle strade di tutta l'America e in giro per il mondo a vaneggiare talmente felice che migliaia e migliaia di giovani lo scoprono ancora oggi a più di quarant’anni dalla scomparsa. E non è un mistero che La scrittura dell’eternità dorata sia un piccolo gioiello di quest’esperienza e una sorta di utile manuale per capire il senso (o meno) della vita perché, come fa notare Jack Kerouac, “Einstein calcolò che il presente universo è una bolla in espansione, e sapete che cosa significa”. La matematica non sbaglia, solo la scrittura (dorata) può capirlo.

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