lunedì 29 novembre 2010

Don DeLillo

Don DeLillo cominciò a lavorare ad Americana nel 1966 e continuò per quattro anni, “scagliando le parole sulle pagine”, come ha detto lo stesso autore. Pubblicato per la prima volta nel 1971 e in seguito in un'edizione rivista (e tagliata da Don DeLillo in persona di una decina di pagine) Americana è un viaggio on the road che non ha nulla da spartire né con gli storici precedenti né con le cicliche e successive imitazioni. La trama è esigua: Dave Bell è un giovane produttore televisivo con base a New York a cui la propria vita comincia a dare la nausea. Le voci di corridoio, il rumore di fondo delle feste (“Eravamo lì per incontrare gente interessante con cui chiacchierare, quindi rivederci alla fine della serata e dirci quanto ci eravamo annoiati e com'era bello ritrovarsi. E' questa l'essenza della civiltà occidentale”), le sbrigative pratiche sentimentali, il sottofondo impersonale ed insistente della televisione lo spingono a compiere “il grande balzo nelle profondità d'America”. Con pochissima olografia e senza retorica: l'umanità e il paesaggio visti da Dave Bell passano attraverso l'obiettivo della sua cinepresa portatile, nel tentativo di ricreare qualcosa di irrimediabilmente perduto. Lui e i suoi compagni di viaggio ammettono candidamente: “Non avevamo tempo per ricordare niente”, e forse anche un film può contribuire a costruirsi un bagaglio di memoria, di storia, utile a capirsi trent'anni dopo. L'interpretazione è stata suggerita dallo stesso Don DeLillo in un articolo uscito un anno dopo la pubblicazione di Americana, romanzo talmente proiettato nel futuro che ritorna costantemente nelle sue riflessioni. In un'intervista del 1993 ha provato a darne una definizione più completa: “Non è un caso che il mio primo romanzo si chiami Americana. Era una personale dichiarazione d'indipendenza, la dichiarazione ufficiale della mia intenzione di usare l’intera immagine, l’intera cultura. L’America era ed è un sogno di immigranti, e come figlio di due immigranti ero attratto dal senso di possibilità che ha trascinato i miei nonni e i miei genitori”. Per capire dove quel sogno è diventato paranoia bisogna seguire David Bell fino in fondo, nelle ultime righe, quando, così vuole la coincidenza, si sta muovendo nel centro di Dallas: un percorso destinato a diventare un enigma e un luogo da cui ha preso forma il successivo romanzo di Don DeLillo, Libra, ma questa, come si dice sempre, è tutta un'altra storia. In apparenza Dave Bell è concentrato sul suo viaggio (“Giorno dopo giorno, mi sento sempre più profondo. Spesso mi sento alle soglie di grandi rivelazioni filosofiche. Sull’uomo. La guerra. La verità. Il tempo. Per fortuna, finisco sempre per tornare a me stesso”) almeno quanto DonDeLillo, attraverso il suo protagonista, è teso a capire e spiegare una nazione spaccata tra un passato tutto da costruire e una modernità fin troppo evanescente che gli fa scrivere “l’America può essere salvata solo da ciò che cerca di distruggere” e il senso di Americana (sia il romanzo, sia, nello specifico, il termine) forse sta tutto lì.

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