venerdì 30 luglio 2010

Charles Willeford

Come nella tradizione cara a tutti i produttori di Hollywood, la storia de Il cacciatore di donne si può riassumere in meno di tre righe: un uomo si convince che il suo futuro è diventare regista e getta nell'impresa tutta la sua vita. Anche la logica che spinge Richard Hudson, il protagonista del romanzo di Charles Willeford, si può condensare nello stesso, sintetico spazio, quando ammette lui stesso: “La realtà fa schifo. I sogni sono meglio, fanno sì che valga la pena vivere”. Inseguendo il miraggio californiano, Richard Hudson (gestisce una concessionaria, ma essendo a Los Angeles il suo vero sogno è entrare a Hollywood e non uscirne più e con l'idea di diventare un grande regista trasforma i suoi progetti per un film in un'ossessione devastante) si lascia trascinare da una confusa vocazione creativa, da un entusiasmo univoco e soprattutto da un ego magniloquente che lo rifornisce di certezze tutte da verificare. Ad un certo punto si convince che “quando un uomo conosce la verità non ha più bisogno di cercarla” ed è inutile aggiungere che la sua verità è tutta nel film che vuole dirigere sfidando i luoghi comuni degli studios, i sindacati degli attori e dei musicisti e tutti gli specifici cliché californiani, dal produttore onnipotente alla dattilografa con la sua brava utopia da sceneggiatrice. Pur essendo tratteggiata con destrezza dalla voce scaltra e “pop” di Charles Willeford, la dozzina di personaggi che circonda Richard Hudson sembra fatta apposta per fare risaltare il lato cinico e disperato di un uomo che non si convince né dei traguardi raggiunti né dei suoi fallimenti e ad un certo punto dice: “In qualche tratto di questo percorso scoprirò forse il punto preciso, o il momento critico, o l'errore, mio o di qualcun altro, oppure scoprirò che cosa mi è esattamente successo”. Sarà già troppo tardi e Charles Willeford infilando un paio di colpi scena, prevedibili fin quanto si vuole, ma molto efficaci, lo conduce a scoprire tutto un altro destino. Tra le righe, la gestazione del soggetto e della sceneggiatura del sogno creativo di Richard Hudson fornisce tanti piccoli consigli da sembrare quasi un manuale di scrittura nascosto nel romanzo. Si comincia con l'inevitabile incubo della pagina bianca (“Devi star lì a riempire fogli di carta con qualcosa di convincente”) e si finisce con l'unico consiglio possibile e utile, che Richard Hudson si sente spiegare da uno dei suoi solerti impiegati: “Riscrivere. Cominci a scrivere una parola alla volta, quando hai abbastanza pagine, hai qualcosa da leggere, hai anche qualcosa da correggere. Dopo averlo rivisto più volte, avrà in mano qualcosa di abbastanza buono. La scrittura è sempre così e non potrebbe essere altrimenti”. Charles Willeford al meglio, Hollywood in una luce bruciante e un romanzo che scorre come una lunga ballata.

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