Stephen King prende il titolo dell’ultimo album di Leonard Cohen, lo modifica quel tanto che basta a diventare il richiamo ideale per un’antologia di racconti dalla provenienza eterogenea che hanno il pregio e l’obiettivo dichiarato di ricordarci che “le cose strane succedono”. D’accordo: in You Like It Darker, o Salto nel buio, le occasioni non mancano e nell’elaborazione di Stephen King i racconti sono legati l’uno all’altro da piccoli dettagli, connessioni e rimandi assortiti, forse a cercare un senso o una continuità che non c’è, o che si intravede a tratti, compresi i numerosi riferimenti alle opere precedenti. Serpenti a sonagli, in particolare, è un’estensione di Cujo e contiene cenni di Duma Key e insieme a L’incubo di Coughlin che, è qualcosa di più di un racconto (e si avvicina a un romanzo breve), costituisce una buona metà di questa panoramica tra “le pieghe della realtà”. Nelle small town americane care a Stephen King, distribuite per l’occasione tra il New England e la Florida, “l’idea che nel mondo ci sia molto più di quanto sappiamo” è il vero carburante delle storie che si attorcigliano proprio attorno al tema di una conoscenza alterata e aumentata, capace di vedere attraverso i limiti della realtà. Succede in L’esperto di turbolenze e Due bastardi di talento, un racconto intrigante, che lascia aperte molte porte, e in I sognatori, che ha una trama interessante, a livello di idea, ma un sviluppo riduttivo. Purtroppo non è l’unico caso: una mezza dozzina di racconti restano indefiniti, come se fossero soltanto dei tentativi per qualcosa che infine non si è materializzato. Capita con Il quinto passo che è un abbozzo, gelido e preciso nel suo svolgimento, ma limitato a una scena, che lascia in sospeso troppi dettagli. Non di meno, Willy lo Strambo, che narra una fine che in realtà è poco più che un inizio, e Finn che è un incubo kafkiano, con una sua crudele connessione con la realtà delle famigerate “rendition” e della tortura, valido ma incompleto. Anche Laurie è qualcosa di indefinito e Lungo Slide Inn Road, un esercizio di stile (con la prospettiva dei personaggi che cambia nel corso della storia) e uguale è Lo schermo rosso che pare l’incipit di qualcosa, ma non si capisce bene di cosa. La preveggenza, un passaggio obbligato fin dai tempi di La zona morta, è riformulata in modo sibillino per L’uomo delle risposte che, attorno alla figura di un indovino, cela una carrellata di cultura e costume americano della seconda metà del ventesimo secolo. Lo stesso Stephen King parla di un racconto recuperato dagli archivi e riadattato con “la stranissima sensazione di urlare in un canyon del tempo e ascoltare l’eco che ritornava”, e questa è un po’ anche l’atmosfera complessiva, con tutti quei riverberi del passato che si tramandano di racconto in racconto. In conclusione, L’uomo delle risposte ha una sua indicazione generica, ma sempre valida quando suggerisce: “Non sbirciare dal buco della serratura se non vuoi starci male”. Consiglio utilissimo che, nello specifico, vale anche per You Like It Darker o Salto nel buio, che forse rende meglio l’idea.
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