William Carlos Williams guarda il mondo dalla posizione privilegiata che gli offre la poesia, eppure non si accontenta e rimastica i versi, sapendo, come scrive in Il vento rinforza, che un poeta è “un uomo le cui parole si apriranno a morsi la strada per casa, essendo reali, possedendo la forma del movimento”. L’antologia, che copre quasi mezzo secolo di continuo lavorio, condensato nel proposito di riservare l’attenzione in modo univoco (“Niente idee se non nelle cose”) ha un suo leitmotiv nell’osservazione degli elementi naturali trasformati in strutture poetiche, come succede, fin dal titolo, in Figura metrica, dove la voce di un uccello gareggia per farsi sentire: “È il suo canto che in luce vince il crepitio delle foglie che si scontrano nel vento”. L’incanto è immediato e la complessità di flora e fauna si trasmette a ondate: asfodelo, caprifoglio, Giovane platano, tarassaco, il pruno, Il toro, Testa di merluzzo, sassifraga, l’edera, L’elefante marino, Gabbiani, le betulle sono protagonisti di una metamorfosi costante nelle immagini collezionate da William Carlos Williams. Il riferimento è ancora più esplicito in A un amico a proposito di svariate dame: “Sai che non c’è granché che io desideri, qualche crisantemo semi-riverso sull’erba, giallo e bruno e bianco, le chiacchiere di poche persone, gli alberi, un’ampia distesa di foglie secche forse intercalate da fossi”. O, ancora, la percezione di trasformazioni microscopiche, che diventano gioielli, come è evidente in Canzone d’amore: “Non c’è luce, solo una macchia densa di miele, che sgoccia di foglia in foglia di ramo in ramo, guasta i colori del mondo intero”. A William Carlos Williams bastano un quadro di Bruegel, l’omaggio a Ford Madox Ford o René Char, l’Iliade, giusto a ricordare che “solo l’immaginazione è reale” e per ribadire che “il supremo splendore non è la bellezza, profonda quanto sia, ma la ricerca classica della bellezza, al centro della palude: la strada senza uscita, abbandonata quando finalmente il nuovo ponte è stato aperto”. La simbologia ha un suo peso specifico proprio perché la poesia di William Carlos Williams ha una “fragranza” particolare che si descrive da sola: “le frasi denudate” arrivano una dopo l’altra e “la forma è giunta per gradi”, compiendosi “in un orizzonte di colori”. Sono fotografie che attraversano i sensi raccontando le prugne “così buone così fresche”, “l’umiltà della neve”, le geometrie che delimitano La provincia (“La figura dell’alta erba bianca lungo l’argine di ceneri mantiene la propria linearità impeccabile”) o ancora “l’alfabeto degli alberi” che sono quasi un’ossessione nello svelare “il nocciolo duro della bellezza”. È da qualche parte, come dicono i versi in La discesa in quella direzione che “un mondo perduto, un mondo insospettato, invita a nuovi luoghi e nessun candore (perduto) è bianco come il ricordo del candore”. Il ritmo è una collezione sinuosa di stanze che ammaliano e ipnotizzano, anche se William Carlos Williams riesce comunque a mantenersi a distanza di sicurezza dalla realtà. Quando dice che “i puri prodotti dell’America impazziscono” spalanca tutto un territorio in gran parte inesplorato, ma nel frattempo ricorda anche che non c’è più “nessuno a testimoniare e a mettere a punto, nessuno a guidare la macchina”. Il segnale è ambivalente anche in Quel che resta di una canzone quando dice: “È tanto strano per me, qui nel crepuscolo moderno” per poi ammettere nel suo Ritratto dell’autore ammette che “il mondo è sparito, ridotto a brandelli da questa grazia”. Il poeta rimane innocente, il discepolo ringrazia.
Nessun commento:
Posta un commento