Quando sale sul palco del Newport Folk Festival, la sera di venerdì 26 luglio 1963, Dylan è il rappresentante più giovane e in vista dell’intreccio tra il revival della musica tradizionale americana e il movimento dei diritti civili e, più in generale, di una rinnovata consapevolezza sociale e politica. Dylan è a Newport con Joan Baez e condividerà con la serata conclusiva, un momento simbolico che uno dei fondatori del festival, Theodore Bikel seppe cogliere in tutto il suo significato, così come lo riporta David Hajdu: “Non ci fu mai più un punto così intriso di speranza per il futuro”. In due anni, sarebbe cambiato tutto, a partire da Dylan, che in quel momento era parte di “quattro ragazzi” che stavano cambiando la musica, e il mondo. All’inizio tutto ruota intorno alle sorelle Baez. Entrambe vedono la luce a un concerto di Pete Seeger e scoprono la passione per il folk che è il leitmotiv di Positively 4th Street. Attorno a loro e su ambedue le coste americane, David Hajdu sa ricostruire il milieu in cui prolifera il revival, a partire dal Village e dalle sue coffee house, spesso locali di pochi metri quadrati destinati a diventare luoghi leggendari. Tra le tante testimoniane raccolte da David Hajdu, merita di essere ascoltata quella di Tom Rush: “Uscivamo, trovavamo questi vecchi dischi e li mettevamo, le chitarre sembravano scordate, le parole non si capivano. Ma era più potente di qualsiasi altra cosa che potevi sentire in giro”. L’arrivo di Richard Fariña, scrittore (compagno di università e di complotti di Thomas Pynchon), poeta, fomentatore di feste e guai, e sposo precoce della cantautrice Carolyn Hester prima e di Mimi Baez poi completa il quadro della doppia coppia (compresi Dylan e Joan Baez, naturalmente) che trascinò “un’estetica fatta apposta per essere largamente antitetica ai tempi e questo era un aspetto sostanziale per capire la presa che aveva la musica sui giovani in cerca di una propria identità all’ombra della generazione della seconda guerra mondiale”. David Hajdu tenta di ricollocare le diverse personalità in una prospettiva coerente. Tenendo conto che “Il folk era una musica storica per natura” e “glorificava l’unico e l’eccentrico, sfidava il conformismo e celebrava il regionalismo nel momento in cui stavano nascendo i mass media, le marche nazionali e i viaggi interstatali”, ricorda come Joan Baez fossa stata riconosciuta prima di tutti, come la protagonista di quell’effervescente momento storico. D’altra parte, come è in gran parte inevitabile, riconosce anche il merito a Dylan di aver deciso di “uscire allo scoperto”, liberandosi degli schemi, delle regole e delle tradizioni, nonché dei legami, come poi divenne chiaro, al di là degli episodi e degli aneddoti e della teorica accetta di Pete Seeger, al Newport Folk Festival del 1965, quando ormai il rock’n’roll aveva preso il sopravvento. Era una questione di combustione, come ebbe modo di notare in modo molto appropriato Richard Fariña: “Anni fa, gente come Dylan doveva accendere le candele da entrambi i lati, per farsi vedere. Oggi le accende direttamente al centro, con una fiamma ossidrica. Il rischio può essere mortale, ma più gente vede la fiamma”. È quasi un presagio: a lui e a Mimi Baez, David Hajdu riserva un ritratto più informale, tra le peripezie della scrittura e un matrimonio dai contorni bohémien, appassionato, tenero e turbolento fino al tragico epilogo.
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