L’insieme di queste “riflessioni e rifrazioni” è il frutto di una corposa selezione di saggi di Robert Silverberg che, cercando di inquadrare la fantascienza in una prospettiva più ampia, alla fine porta a riflettere sul senso della scrittura in sé. Si parte da lontano, tracciando un collegamento che risale alla tragedia greca: da Sofocle, Eschilo ed Euripide, viene evidenziato l’archetipo ineludibile da cui si è evoluta ogni forma di narrativa, ovvero “una situazione drammatica: un contrasto ineluttabile tra forze pulsanti che produce riverberi sempre più ampi finché non viene neutralizzato in un modo che generi comprensione, intuizione e armonia”. Ecco, Robert Silverberg è convinto che “l’arte della narrazione si è evoluta per interpretare il mondo, per creare ordine da quel caos cui divinità crudeli o semplicemente incuranti ci hanno consegnati eoni fa. Per portare a termine questa missione uno scrittore deve saper sbirciare nel cuore del caos, ma deve anche sapere qualcosina del mondo. Anche se ciò di cui volete scrivere è un pianeta distante milioni di anni luce, dovrete avere una minima comprensione di quello su cui ci troviamo, o gli abitanti di questo mondo avranno pochissimo interesse per quello che avrete da dire”. L’entusiasmo, insaziabile e palpabile, è la migliore introduzione possibile alla fantascienza, attraverso il ricordo dei suoi momenti migliori e di un gruppo di autori elencato e caldeggiato a più riprese che comprende Ursula K. Le Guin, Philip Dick, Randall Garrett, Isaac Asimov, Brian Aldiss, considerati i migliori interpreti del genere, nella specifica concezione che sia “la cronaca di un conflitto, dei suoi sviluppi e della sua risoluzione”. Prodigo di suggerimenti, analisi, ricordi e aneddoti, Robert Silverberg ha un tono leggero e diretto, compresi i ritratti nella parte finale dove ricorda, tra gli altri, Theodore Sturgeon, Jack Williamson, Roger Zelazny, John Brunner, Harlan Ellison, che può permettersi di chiamare per nome. È anche un vademecum riguardo la fiction e il mestiere di scrivere tout court, comprensivo delle logiche del mercato editoriale e, più di tutto, della necessità di leggere (su cui Robert Silverberg si spende con convinzione) perché “se vuoi raccontare, prima devi avere accumulato dentro di te storie che valga la pena di raccontare”. C’è spazio per temi, modelli, esempi, ma anche per ricordare quella sensazione di vivere “la lunga disperazione del non combinare mai niente bene”, poi dispensa qualche consiglio pratico utile ai futuri scrittori e ai presenti lettori. Il primo avviso, a carattere generale è indicativo: “Limitati a raccontare la tua storia, una frase per volta, con la tua voce”, e tanto dovrebbe bastare per cominciare nel modo giusto. Poi vanno bene le scuole, i gruppi di lavoro, il confronto, ma Robert Silverberg ricorda come “la scrittura sia un qualcosa che non si apprende in un contesto sociale. Come il fare l’amore, è un atto privato, che si padroneggia con la reiterata applicazione di alcuni principi tecnici, e non sono sicuro che il luogo migliore per fare pratica sia in pubblico”. Ci sono consigli specifici riguardo la narrazione (“Un personaggio, per esempio, deve essere integrato nella trama. Le persone entrano in conflitto perché è nella loro natura, gestiscono i conflitti in modalità che illustrano la loro personalità e li risolvono attraverso situazioni ricollegabili ai loro tratti caratteriali”), ma anche una specie di illuminazione quando dice che “ancora oggi continuo a credere che ogni fiction, anche la più umile, sia un’arte purificatrice” ed è forse il motivo principale per cui “gli scrittori non vanno in pensione”, e su questo non avevamo dubbi. Utilissimo.
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