venerdì 6 dicembre 2019

Wendell Berry

Wendell Berry in questi saggi è più lucido che mai nel contrapporre le logiche industriali all’intimità del legame dell’uomo e della donna con la natura visto che “veniamo dalla terra e ci torneremo, e così siamo affondati nell’agricoltura quanto siamo affondati nella carne”. La traccia che unisce Il corpo e la terra è in rilievo e non è difficile seguirla: nell’articolare la complessità delle sue analisi, Wendell Berry usa un linguaggio diretto, per quanto forbito, anche quando si ricollega ad ampie sezioni delle opere di Shakespeare, Omero e William Butler Yeats. Gli snodi principali sono palpabili, come se Wendell Berry avesse sperimentato in prove pratiche le sue asserzioni: le definizioni sono puntuali e scomode perché fuggono i luoghi comuni e si riappropriano dell’essenza del rapporto tra uomo, donna e vita. Il suo punto di vista è un classico che rimette al centro, costantemente, il rapporto con la terra, come inizio e fine. Le deformazioni agricole e alimentari, e il nesso immediato con le aberrazioni della sessualità e del matrimonio, sono segmenti che scorrono lungo la stessa linea, che Wendell Berry non fatica a evidenziare e a ribadire. Tutto parte dal fatto che “abbiamo dimenticato indubbiamente che il civile e il domestico continuano a dipendere dalla natura selvaggia, cioè da forze naturali nel clima e nel suolo che non sono mai state controllate o conquistate in alcun modo che sia degno di rilievo. La civiltà moderna è stata costruita in gran parte su questa dimenticanza”. Non che si possa sfuggire più del tanto: la validità della sua visione, a distanza nel tempo, è lì a confermare che “la degenerazione dell’economia domestica è indivisibile dalla degenerazione dell’economia agricola. Non c’è scampo. Questa è la giustizia che stiamo imparando dagli ecologi: non si può danneggiare ciò da cui si dipende senza danneggiare se stessi”. Le circostanze sono ineluttabili e “la malattia fatale è la disperazione, una ferita che non può essere guarita perché incapsulata nella solitudine, circondata dalla mancanza di parole. Superata la scala dell’umano le nostre opere non ci liberano più, ci rinchiudono”. Nell’inquadrare Il corpo e la terra, Wendell Berry ristabilisce alcuni valori essenziali, riaffermando la necessità di dare “un giusto valore alla vita del corpo in questo mondo, di credere che sia buono per quanto piccolo e imperfetto. Finché non siamo capaci di affermare questa realtà e sapere quel che intendiamo, non saremo capaci di vivere le nostre vite nella umana condizione di dolore e gioia, ma saremo ripetutamente sbattuti fuori in violente altalene fra orgoglio e disperazione. Desideri che non possono essere soddisfatti in modo sano, continueranno a farci essere irrimediabilmente angosciati e scontenti”. La vera questione è che “la tragedia, più spesso sentita che riconosciuta, è che ciò che viene sfruttato diventa indesiderabile”, e vale in contemporanea per Il corpo e la terra. Questo perché per Wendell Berry “il mondo è certamente considerato un luogo di prova spirituale, ma è anche la confluenza di anima e corpo, parola e carne, dove i pensieri devono diventare fatti, dove il bene deve essere vissuto. È questo il grande luogo d’incontro, la porta stretta per cui lo spirito e la carne, la parola e il mondo, passano l’una nell’altro”. Un equilibrio instabile su cui Il corpo e la terra devono reggere le rispettive esistenze, fronteggiando la decadenza e la dissoluzione. Wendell Berry è plateale quando avvisa che “la minaccia non è soltanto del desiderio totalitario di un controllo assoluto. Sta nella disponibilità ad ignorare un paradosso essenziale: le forze naturali che ci minacciano sono le stesse forze che ci fanno vivere e ci rinnovano”. Una posizione spiazzante che parte dalla consapevolezza che “siamo diventati spettatori di panorami” e, di conseguenza, “per quanto si ami il mondo intero, ci si può vivere pienamente solo vivendo responsabilmente in qualche piccola parte di esso. Il luogo dove viviamo e coloro con cui viviamo definiscono i termini del nostro rapporto col mondo e con l’umanità”. Quel particolare momento è il luogo in cui Wendell Berry stabilisce che “il collegamento con la terra è salute. E ciò che la nostra società fa del suo meglio per nasconderci è come la salute sia semplice e raggiungibile da tutti. Ci rimettiamo la salute, e creiamo malattie e dipendenze che sono fonte di profitti, perché non riusciamo a vedere i diretti collegamenti che esistono fra vivere e mangiare, fra mangiare e lavorare, fra lavorare e amare”. Il sillogismo tra lavoro (“Il lavoro è la salute dell’amore. L’amore, per durare, deve incarnarsi nella materialità del mondo, produrre cibo, riparo, calore o ombra, circondarsi di atti di dedizione, cose fatte bene”) e prossimo (“Lavoriamo bene quando usiamo noi stessi come compagni delle piante, degli animali, delle materie prime, e come le altre persone con cui stiamo lavorando”) è inevitabile, ma Wendell Berry non lascia nulla al caso e ricorda che, anche nella discussione tra Il corpo e la terra, “le soluzioni culturali sono organismi, non macchine, e non possono essere inventate deliberatamente o imposte con una ricetta. Forse tutto quel che si può fare è chiarire nel miglior modo possibile quali sono i bisogni e le pressioni che gravano sul processo dell’evoluzione culturale”. Una piccola, grande lezione.

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