“Sono le storie che ci fanno tirare avanti. E non fanno male a nessuno” dice ad un certo punto di La mosca dalle gambe lunghe, Lew Griffin. Verissimo, ma nella lunga corsa su e giù tra New Orleans e il bayou, è proprio lui il protagonista attorno a cui si sviluppa l’atmosfera di ombre e luci di questo straordinario romanzo. È un noir solo nei contorni, nei paesaggi, nell’umidità della Big Easy e negli ambienti che frequenta. Nel suo intimo nocciolo, La mosca dalle gambe lunghe è una lunga cavalcata esistenziale in cui Lew Griffin di volta in volta si ritrova sorpreso davanti alle evoluzioni della vita, ai suoi misteri, al succedersi degli eventi: “Strano come resti così poco delle nostre vite, quando iniziano a liquefarsi, quando hanno ormai iniziato a farsi storia. Una manciata di fatti, di movimenti di conflitti: è tutto quel che un osservatore esterno riesce a vedere. Un guscio vuoto”. A lui, che all'inizio del romanzo è un investigatore privato e prima della fine ha cambiato altri due o tre lavori, succede un po’ di tutto a costellare una caduta nei bassifondi dell’esistenza non meno che in quelli di New Orleans. Gli capita di bere oltre le sue possibilità, di affrontare nemici che non ha la minima probabilità di vincere e a cui non può sfuggire, di finire prima in ospedale e poi in manicomio, di perdersi per strada (“Erano tre giorni che non andavo in ufficio, quindi c’era solo da fare testa o croce”). Uno sprofondare verso il nulla che gli fa chiedere, ad un certo punto: “Può essere che tutti quanti ci portiamo dentro il germe di questa lunga caduta? O forse è un qualcosa che noi stessi ci costruiamo, col passare del tempo, allo stesso inconsapevole modo in cui ci costruiamo un volto, una vita, le storie cui viviamo accanto, quelle che ci lasciano continuare a vivere”. Gli capita anche di scoprire l’amore e di lasciarselo alle spalle, ma senza prendersela troppo perché Lew Griffin è il perfetto loser, capace di filosofeggiare anche nel buio più profondo: “Insomma, conclusi infine, non è che ci fosse questa gran differenza col modo in cui tutti quanti abborracciamo la nostra vita, a spizzichi e bocconi, qua il frammento di un libro, là il titolo o i versi di una canzone, brandelli di persone che abbiamo conosciuto, spezzoni di film dei quali noi stessi ci immaginiamo protagonisti per poi passare a un altro film e a un altro ancora, improvvisando un giorno dopo l’altro per tutti quegli anni che chiamiamo la nostra vita”. Nel frattempo Lew Griffin si deve occupare di quattro indagini per altrettante persone scomparse che lo portano a ingarbugliare ancora di più i nodi che lo imprigionano finché si convince che “i casi sono due. O non riusciamo a vivere che nelle relazioni, oppure ci convinciamo che sia così pur di portarle avanti. Continuiamo non solo a cercare di sopravvivere, ma a cercare di trovare delle ragioni, una è l'amore, per poterci ingannare di nuovo e dire che è solo questione di sopravvivenza”. James Sallis usa Lew Griffin (un grande personaggio) e La mosca dalle gambe lunghe per dipanare un lungo e malinconico blues, che ha un piede appoggiato su un fondamento di nostalgia (“Forse i giorni più belli della nostra vita sono sempre già passati. Forse è solo attraverso il filtro del tempo che siamo in grado di ricordare la felicità e l’appagamento, sfuggenti fantasmi per sempre alle nostre spalle”) e uno su un concreto realismo (“Non sono mai le idee, a spezzarci il cuore, ma le cose semplici”) che sono resi alla perfezione dagli umori e dall’atmosfera che regnano in La mosca dalle gambe lunghe.
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