Allen Ginsberg poteva solo immaginare quello che descriveva con la poesia, quell’intuizione giusta, basata su “nessuna idea o astrazione ma attenzione alle cose, all’esistenza stessa, a una poesia basata sulla realtà quotidiana del momento”. Un moloch di operazioni ramificate e oscure, segrete e illegali che pesavano come una spada di Damocle su tutta l’America, non solo su quella della contestazione, dei movimenti (per la pace e per i diritti civili), della creatività e del rock’n’roll. Il Watergate solleverà il coperchio di un vaso di Pandora della “decadenza di guerra americana dal 1963 al 1971” che Allen Ginsberg aveva intravisto attraverso le visioni poetiche (e profetiche) raccolte proprio nel narrare La caduta dell’America. Si chiedeva Ginsberg: “Chi è il nemico, anno dopo anno? Guerra dopo guerra, chi è il nemico? Qual è l’arma, battaglia dopo battaglia? Qual è la notizia, sconfitta dopo sconfitta? Qual è l’immagine, decennio dopo decennio? La televisione mostra sangue, stampa braccia rotte fotografie pelle bruciata, corpi feriti rivelati sullo schermo. Togliete il suono dalla televisione non si capirà chi è la vittima. Togliete il linguaggio dalla visione non si saprà chi è l’aggressore, togliete il commentario dal notiziario si vedrà una massa di pazzi assassini”. Le visioni pubbliche e le celebrazioni private, soprattutto il viaggio in treno nella prima parte, sono cronaca e flusso di coscienza che scorrono parallele & insieme. Ginsberg annota “600 morti cong questa settimana, linguaggio linguaggio, escalation, e l’onore & la gloria andranno a colui che parla con voce di uomo sensibile” e a breve distanza domanda: “Mi ami? No, sono un coglione rozzo che ti è stato intorno al collo, così a lungo da fartici abituare & diciamo affezionare”. Con gli anni, avrà modo di precisare, come farà nell’intervista del 1977 con Paul Portugés rivelando che “la difficoltà consiste nel pensare. Si scende ai nudi fatti della realtà, ma non sono fatti della realtà: sono i nudi fatti della tua percezione della realtà. Si possono ritrarre le percezioni, come l’idea della poesia di guerra che ho scritto: non era sulla guerra, era sulla televisione e la radio; la guerra come è vista, come è rappresentata alla televisione, alla radio e sui giornali”. Essendo La caduta dell’America “una capsula di tempo di consapevolezza personale e razionale” nel suo epicentro contiene l’Elegia per Neal Cassady, più avanti l’ammissione per Kerouac (“O Jack tu hai schivato il vero diluvio”) nonché una piccola postilla per se stesso: “Se avessi saputo venti anni fa quel che so adesso, avrei potuto dirigere un’orchestra sinfonica a Minneapolis & portare uno smoking”. Resta l’odissea attraverso un’America plumbea, disorientata, paranoica, avvolta in una “notte grigia sui campi elettrici” o negli “aeroporti robot mercato senz’anima affari di spionaggio elettrico strade di grattacieli, senz’anima, esplodenti. Pura materia sgretolata, disintegrata nel vuoto”. L’idea di elettricità che costella La caduta dell’America deriva dalla consapevolezza espressa già nelle dediche a Walt Whitman, e poi a Hart Crane, in apertura delle danze, che richiamano lo spirito originario dell’America, la promessa tradita e dimenticata dove “nulla rimane a questo paese se non rovina, nulla rimane a questo paese se non morte. I loro volti sono così brutti, i loro pensieri così ingenui, il loro macchinario così forte”. L’alternarsi di diversi gradi di alterazione, dovuti alla “collera politica” che si riversava nella poesia, prevedono l’istinto mai negato alla fuga (“Voglio andare su una macchina, non lasciar detto dove vado, andare in viaggio”), la contemplazione di ciò che resta (“Ora c’è la mezzaluna sull’America, foglie sfumate di rosso cadono rossore sparso sulla collina, giù nel pascolo alberi soli fronte arancione pensano tempo d’autunno nei pini”) e un’assicurazione ai posteri, amici e non (“Beh, finché sarò qui farò io il lavoro, e che cos’è il lavoro? Alleviare il dolore di vivere. Tutto il resto, ottusità ubriaca”). È più dettagliato nello spiegare, ancora nell’intervista in appendice, che “non possiamo conoscere la realtà, ma possiamo conoscere ciò che si vede. Questo facilita le cose: non c’è altro da fare che registrare ciò che si vede in realtà; non pensieri della mente su ciò che si vede, ma ciò che si vede direttamente, o si ode direttamente. È come far rotolare un tronco. Non si deve cercare e analizzare la realtà. Si deve soltanto essere consapevoli di ciò che si è appena visto”. Frutto dell’osservazione di uno spirito coraggioso, La caduta dell’America cristallizza un difficile momento storico con la forza della poesia che poi “è una specie di carpenteria indipendente che va avanti da sé”. Indomito.
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