lunedì 22 gennaio 2018

Lawrence Ferlinghetti

Scritte nell’arco della golden age del rock’n’roll, le annate 1966, 1967 e 1968, le poesie radunate in Il senso segreto delle cose, cominciano con un presagio. In Assassinio Raga, Lawrence Ferlinghetti racconta il funerale di JFK e quell’ultimo volo “nel suo cielo pieno di merda & morte”. La durezza delle parole è frutto di una visione condivisa, a partire dalla “televisione morte” di William Burroughs (“Ogni giorno i telegiornali si fanno più irreali”), che ricorre in un verso centrale di Assassinio Raga, ai temi comuni a La caduta dell’America di Allen Ginsberg. Solo che, espletato il compito della denuncia e dell’allarme, perché “la profezia è l’unica grande arte perduta dei poeti moderni”, Il senso comune delle cose esalta l’arte della psichedelia, attraverso i trip dell’LSD, non meno di quelli garantiti dai tormenti e dalle gioie dell’osservazione che “non si ferma mai, continua & continua & continua”. Ferlinghetti canta Segovia che insegna a Mosca “l’accordatura aperta con cui possono suonare qualsiasi cosa in modo libero e semplice”, ci ricorda & ci avvisa che “le nostre cellule odiano il metallo”, e che “nessuno di noi è veramente parte di nessuna nazione”, prende appunti come respirare perché “è questo che dobbiamo aspettare per cavar fuori un nuovo modello di universo con comunicazione istantanea, un villaggio globale, in cui ogni essere umano è parte di noi, anche se noi saremmo ancora degli usa-e-getta in una sequenza evolutiva”. Lo scriveva proprio mezzo secolo fa, eppure appare come una lucidissima istantanea di ieri, di oggi. Quella di essere sbalzati in un tuffo carpiato temporale è una sensazione frequente in Il senso segreto delle cose, dato che Ferlinghetti vede Fin troppo chiaro, passa Attraverso lo specchio sfruttando un doping che Alice nemmeno poteva immaginare e torna a Big Sur a convocare Mark Twain e Jack London, Virginia Woolf e Anaïs Nin e un’intera folla di sognatori destinati ad accertare che il futuro sarà “allora una poesia cominciata dall’uomo al di fuori, nell’alienazione, come devono essere tutte le poesie dure, una poesia di profezia alienata dalla nazione americana, perché chi vuole la nazione?, a che servono la nazione e il nazionalismo per se stessi, una residua forma medievale di barbarie da eliminare in tutte le sue forme in una nuova società pastorale dopo che lo stridio degli uccelli è cessato, dopo che le nuvole si diradano finalmente sopra la bomba finale, e piccole sacche sparse di civiltà sopravvivono solo in gruppetti di mistici capelloni e vagabondi che intonano mantra americani, la lettera maiuscola A è stata finalmente abolita da suolo americano, dalla Sierra Maestra americana che si estende dalle Aleutine alla Terra del Fuoco”. Come dice Lawrence Ferlinghetti, “comincia tutto al Fillmore Auditorium, autunno 1965”: proprio in quella stagione, due nuove rock’n’roll band stavano seguendo “l’impulso a perseguire ciò che sta oltre la mente, che sta appena oltre”. Erano i Jefferson Airplane e i Grateful Dead, e se quelle strane settimane strani di “elettricità statica estatica” sono state brutalizzate da un secolo con l’altro, resteranno all’infinito nell’universo parallelo in cui hanno sconfinato a furia di chitarre & poesie.

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