mercoledì 29 giugno 2016

Willa Cather

E’ stata un’idea eccellente quella di assemblare Il caso di Paul e La scarpetta d’oro perché sono speculari nello spiegare che “il mondo è piccolo, le persone sono piccole e la vita umana è piccola. Esiste solo una cosa grande: il desiderio”. Il legame e insieme il contrasto tra I racconti di Pittsburgh è palese già in quello che Willa Cather chiama anche Uno studio sul carattere, che è poi Il caso di Paul. Un adolescente ribelle e scontroso, che ha un modo tutto suo di reagire e di parlare (“Non volevo essere gentile o scortese. Credo sia semplicemente un modo che ho di dire le cose”) e a cui “bastava una scintilla, l’emozione indescrivibile che faceva sì che la sua immaginazione s’impadronisse dei suoi sensi, e la sua testa diventava tutto un fiorire di immagini e storie. Allo stesso modo era vero che non aveva la passione del teatro, perlomeno non in un modo tradizionale. Non aveva alcun desiderio di diventare un attore, non più di quanto lo avesse di diventare un musicista. Non sentiva alcuna necessità di essere nessuna di queste due cose: quello che voleva vedere, fare parte di quell’atmosfera, galleggiare su quell’onda ed essere trasportato via, per miglia e miglia di azzurro, lontano da tutto”. L’espressione del desiderio è anche la volontà di non restare imprigionato nella cornice soffocante (anche un po’ bigotta) della famiglia e di Cornelia Street, dove le vite sono precostituite sui luoghi comuni, da cui è impossibile fuggire. E’ il leitmotiv della prima parte del racconto che Willa Cather trasmette con grande efficacia. La tensione generata dalle emozioni, dalle ambizioni e in definitiva dalle scelte di Paul, lasciano intuire che si tratti di qualcosa in più di Uno studio sul carattere e la partecipazione al dilemma e poi al suo drammatico epilogo è assidua, intensa e senza filtro. Questo succede perché, come scriveva Eudora Welty, “quando leggiamo il mondo di Willa Cather lo sentiamo e lo tocchiamo”. Vale a maggior ragione per La scarpetta d’oro, dove il confronto tra Marshall McKann e Kitty Ayrshire è alimentato dall’attrito tra la presunta normalità e una vita di “emozioni disordinate” e/o un “mondo fatto di svolazzi”. Marshall McKann è un industriale che, “ostile a mode, entusiasmi, individualismo, a qualsiasi innovazione che non riguardasse macchine minerarie o mezzi di trasporto”, è attirato e insieme respinto dal fascino di Kitty Ayrshire, cantante e rock’n’roll star ante litteram. La serrata discussione, a bordo di quel treno (molto simbolico) che appare anche in Il caso di Paul, non è alimentata solo dalla diversità tra uomo e donna che comunque Willa Cather, attraverso Kitty Ayrshire, preferisce rimarcare: “Se riuscissi a trovare un uomo davvero intelligente che fosse in grado di sostenere le proprie opinioni, sarei disposta a cambiare le mie”. La divisione riguarda le aspirazioni e i miraggi, la sensibilità e l’ammirazione, in definitiva quel bisogno di “dissolversi in qualcosa di più completo e più grande” (come ribadisce Kitty Ayrshire ispirata da Cos’è l’arte di Lev Tolstoj). Alla fonte, diceva ancora Eudora Welty, c’è sempre “il desiderio di un singolo cuore, di una singola anima di rivendicare ciò che gli spetta, di attingere alla sua quota di grandezza” ed è proprio quella pulsione primordiale che Willa Cather sa distinguere anche nel tono, ponendo l’accento sui contorni della tragedia per Il caso di Paul e su quelli della commedia con La scarpetta d’oro. Due racconti, un piccolo libro, una grande lezione.

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