E’
stata un’idea eccellente quella di assemblare Il caso di Paul
e La scarpetta d’oro perché sono speculari nello spiegare
che “il mondo è piccolo, le persone sono piccole e la vita umana è
piccola. Esiste solo una cosa grande: il desiderio”. Il legame e
insieme il contrasto tra I racconti di Pittsburgh è palese
già in quello che Willa Cather chiama anche Uno studio sul
carattere, che è poi Il caso di Paul. Un adolescente
ribelle e scontroso, che ha un modo tutto suo di reagire e di parlare
(“Non volevo essere gentile o scortese. Credo sia semplicemente un
modo che ho di dire le cose”) e a cui “bastava una scintilla,
l’emozione indescrivibile che faceva sì che la sua immaginazione
s’impadronisse dei suoi sensi, e la sua testa diventava tutto un
fiorire di immagini e storie. Allo stesso modo era vero che non aveva
la passione del teatro, perlomeno non in un modo tradizionale. Non
aveva alcun desiderio di diventare un attore, non più di quanto lo
avesse di diventare un musicista. Non sentiva alcuna necessità di
essere nessuna di queste due cose: quello che voleva vedere, fare
parte di quell’atmosfera, galleggiare su quell’onda ed essere
trasportato via, per miglia e miglia di azzurro, lontano da tutto”.
L’espressione del desiderio è anche la volontà di non restare
imprigionato nella cornice soffocante (anche un po’ bigotta) della
famiglia e di Cornelia Street, dove le vite sono precostituite sui
luoghi comuni, da cui è impossibile fuggire. E’ il leitmotiv della
prima parte del racconto che Willa Cather trasmette con grande
efficacia. La tensione generata dalle emozioni, dalle ambizioni e in
definitiva dalle scelte di Paul, lasciano intuire che si tratti di
qualcosa in più di Uno studio sul carattere e la
partecipazione al dilemma e poi al suo drammatico epilogo è assidua,
intensa e senza filtro. Questo succede perché, come scriveva Eudora
Welty, “quando leggiamo il mondo di Willa Cather lo sentiamo e lo
tocchiamo”. Vale a maggior ragione per La scarpetta d’oro,
dove il confronto tra Marshall McKann e Kitty Ayrshire è alimentato
dall’attrito tra la presunta normalità e una vita di “emozioni
disordinate” e/o un “mondo fatto di svolazzi”. Marshall McKann
è un industriale che, “ostile a mode, entusiasmi, individualismo,
a qualsiasi innovazione che non riguardasse macchine minerarie o
mezzi di trasporto”, è attirato e insieme respinto dal fascino di
Kitty Ayrshire, cantante e rock’n’roll star ante litteram. La
serrata discussione, a bordo di quel treno (molto simbolico) che
appare anche in Il caso di Paul, non è alimentata solo dalla
diversità tra uomo e donna che comunque Willa Cather, attraverso
Kitty Ayrshire, preferisce rimarcare: “Se riuscissi a trovare un
uomo davvero intelligente che fosse in grado di sostenere le proprie
opinioni, sarei disposta a cambiare le mie”. La divisione riguarda
le aspirazioni e i miraggi, la sensibilità e l’ammirazione, in
definitiva quel bisogno di “dissolversi in qualcosa di più
completo e più grande” (come ribadisce Kitty Ayrshire ispirata da
Cos’è l’arte di Lev Tolstoj). Alla fonte, diceva ancora
Eudora Welty, c’è sempre “il desiderio di un singolo cuore, di
una singola anima di rivendicare ciò che gli spetta, di attingere
alla sua quota di grandezza” ed è proprio quella pulsione
primordiale che Willa Cather sa distinguere anche nel tono, ponendo
l’accento sui contorni della tragedia per Il caso di Paul e
su quelli della commedia con La scarpetta d’oro. Due
racconti, un piccolo libro, una grande lezione.
Nessun commento:
Posta un commento