Un
rapinatore che passa tre dei suoi primi sei mesi di vita in cella per
aver svaligiato una banca. A venticinque anni, ruba un cavallo e
diventa inafferrabile. Come succede spesso con i personaggi delle sue
canzoni, Bruce Springsteen cerca di renderli simpatici e
accattivanti, ma dove arriva Outlaw Pete,
le donne piangono e gli uomini muoiono. Una notte si sveglia
nell’incubo di aver visto la propria morte e parte al galoppo verso
il West, un passaggio obbligato dentro l’America in cerca di una
nuova vita. Per quanto citi, tra le fonti d’ispirazione, i
personaggi di The Wild, The Innocent & The
E Street Shuffle, a parte i contorni
picareschi Outlaw Pete
appartiene più al fiume carsico di profili noir e nerissimi che
affiora con una frequenza disordinata nel songwriting di Bruce
Springsteen e che ha avuto un ruolo predominante della galleria degli
assassini di Nebraska,
da Charlie Starkweather a Johnny 99
fino alle guerre mafiose evocate nell’incipit di Atlantic
City. L’epopea del fuorilegge e lo scenario
del West servono a condensare “passione e tragedia” di alcuni
temi fondamentali: la formazione di un uomo e la sua distruzione,
l’amore, la redenzione, la vendetta e, più di tutto il senso,
della giustizia e della predestinazione, della lotta e del rimpianto.
Come spiega lo stesso Bruce Springsteen: “Outlaw
Pete, in sostanza, è la storia di un uomo
che tenta di sopravvivere ai propri peccati, che sfida il destino
cercando di sfuggire al veleno che lui stesso porta in corpo. Il che
è impossibile, naturalmente: ovunque andiamo, i nostri peccati ci
seguono, e noi possiamo soltanto imparare a conviverci”.
Concentrare tutto il racconto epico in una canzone è stata
un’impresa complicata, mentre la versione arricchita dalle immagini
di Frank Caruso gli restituisce un senso di profondità e insieme di
leggerezza. Il disegno, i colori riescono a fissare alcuni passaggi,
a distinguerli con maggiore precisione, come l’incontro con la
ragazza navajo e la nascita della loro figlia. E’ il frangente più
sfumato e in ombra della storia di Outlaw
Pete, una deviazione momentanea che funziona
da preludio allo scontro con il cacciatore di taglie. La svolta
Outlaw Pete, anche dal
punto di vista grafico, è proprio lì perché come dice l’unico
vero giudice in tutto il West, quello di Cormac McCarthy in Meridiano
di sangue, “la legge morale è
un’invenzione dell’umanità per deprivare il forte a vantaggio
del debole. La legge storica la sovverte di continuo. Nessuna
verifica estrema potrà mai determinare se un punto di vista morale
sia corretto o erroneo. Di un uomo che cada morto in un duello non si
penserà di conseguenza che abbia dimostrato di essere in errore
riguardo al suo punto di vista”. La sentenza, come il cavaliere
sull’orlo del precipizio, rimane sospesa: l’eroe soccombe ai suoi
demoni, il fuorilegge entra nella leggenda, Outlaw
Pete continua a chiedersi se qualcuno là
fuori riesce a sentirlo, ma la vera risposta è un’altra domanda.
Quando Peter Bogdanovich chiese a John Ford se la morale di un
personaggio di uno dei suoi film non fosse un po’ ambigua, si sentì
ribadire: “Non è sempre un po’ ambigua la morale?”, ed è
un interrogativo che è sempre lì, ad aspettare, non solo nel
selvaggio West di Outlaw Pete.
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