In volo sopra l’Atlantico, un
aereo di legno e di tela accompagna una lettera verso la fine di un’epoca, e
l’inizio di un’altra, “la distanza finalmente annullata”. La minuscola
corrispondenza è il misterioso elemento di un viaggio nel ventesimo secolo che
ondeggia avanti e indietro, risale al 1845 e arriva fino ai nostri giorni ed è
punteggiato dagli incontri e dagli incroci nel tempo e nello spazio, lungo le
coste tra America e Irlanda, tra fiction e realtà, perché “le nostre vite sono
spesso catapultate all’interno di lunghe orbite migratorie”. Questi tracciati
s’intersecano con gli eventi e i personaggi storici, che vedono, tra i più
importanti, il viaggio di Frederick Douglass in un’Irlanda povera e buia e gli
sforzi di George Mitchell nel processo che portò all’accordo del venerdì di
Pasqua nel 1998. Per la prima volta nella sua vita, Frederick Douglass venne
trattato “non come un colore, ma come un uomo”, solo che deve confrontarsi con
la miseria e la carestia prodotte da quell’occupazione che Colum McCann
definisce “autocolonialismo”. Un fantasma che riappare più di cent’anni dopo,
quando George Mitchell, “man of peace” americano insiste con “la necessità di
non smettere mai e poi mai di ripetere ciò che è già stato detto”, fino alla
firma degli accordi. Le contraddizioni del “secolo breve”, “come le nostre vite
vengono intrecciate dalle guerre, così il mistero ci tiene uniti”, dai due
conflitti mondiali alla secessione americana ai “troubles” irlandesi si
riflettono nella vita di una folla di personaggi il cui unico sogno è “giungere
a destinazione”, ma devono scontrarsi con gli eventi storici che cadono dal
cielo come una pioggia inaspettata, nonchè con “il mondo intero in costante
movimento. Sempre di fretta. Le leggi ineluttabili della nostra autoimportanza.
In quanti siamo lassù in questo esatto istante? A guardarci dall’alto,
sparpagliati nel confuso e sfocato panorama qui in basso? Che strano osservarsi
riflesso nel vetro, quasi fosse contemporaneamente dentro e fuori. Il ragazzino
che osserva l’uomo ridiventato padre sorpreso tanto per cominciare di essere
lì. La vita, e il suo talento nel distribuire gli imprevisti sempre che nulla
giunga mai a compimento”. Colum McCann è uno scrittore che ha un suo
particolare tatto, ormai riconoscibile, nel trattare temi esplosivi. E’ una
specie di artificiere della parola e del racconto che sa disinnescare e rendere
agibili anche le contorsioni più pericolose perché “è sempre una grossa
tentazione, raccogliere la schiuma che nottetempo si è formata sul mondo: quale
sommossa ha scosso la città, quale elezione è stata truccata, quale povero
barman si è ritrovato a spazzare sui cadaveri”. Così, proprio come la busta che
ha solcato l’Atlantico rimane un messaggio nascosto al riparo delle guerre per
un secolo, TransAtlantic resta
sospeso tra una sponda e l’altra, naviga a vista e Colum McCann è sorpreso, più
di tutto, per “come il linguaggio a volte ci diserti, per come il futuro
riservi domande che dovevano essere poste in passato, per come le parole ci
possano sfuggire così facilmente, abbandonandoci lì, alla loro ricerca”.
L’interrogativo trova una sua definizione nella sfumatura finale di TransAtlantic, crepuscolare e non priva di una sua delicatezza: è
un piccola via d’uscita e insieme una coda enigmatica per un bel romanzo, con
uno stile semplice e diretto, per quanto non allineato nelle questioni che
lascia lì, tra un cielo e un mare che sembrano specchiarsi l’uno nell’altro.
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