martedì 13 maggio 2014

Louise Erdrich

Il giorno dei colombi non è un romanzo lineare. Segue piuttosto l’andamento di una sorta di spirale con le storie che si avvicinano l’una all’altra più si va avanti. Onde che si propagano secondo un ritmo netto, in rilievo, preciso, che tradisce la sua derivazione dalla musica, così come la descrive la stessa Louise Erdrich: “La musica era qualcosa in più della musica: almeno di quella che siamo abituati ad ascoltare. La musica era vero e proprio sentimento. Il suono entrava immediatamente in relazione con qualcosa di profondo e gioioso. Quei momenti straordinari di vera conoscenza che dobbiamo mascherare con la vita quotidiana. La musica andava al fondo dei nostri terrori. Cose che avevamo vissuto e non avremmo mai voluto ripetere. Sbrindellate fantasie, desideri inconfessati, paure, ma anche piaceri sorprendenti. No, non possiamo vivere così, fino a questo punto. Ma ogni tanto qualcosa di spezza come il ghiaccio e noi piombiamo nel fiume della nostra esistenza”. Sono le storie che tengono insieme la vita: sono il collante, sono l’architettura, sono il territorio comune, l’humus fertile del linguaggio. Non a caso è più che centrale la figura di Mooshum, lo storyteller che conserva la memoria perché le storie hanno ripercussioni, si propagano all’infinito e infine vivono di vita propria. Potrebbe essere un esercizio interessante, quello di ricostruire l’impossibile albero genealogico che lega tutti i personaggi attorno alla figura secolare di Mooshum, ma l’anagrafe (qui) è volubile proprio come le traiettorie dei colombi. Pur nel fragile contesto delle riserve, Louise Erdrich crea più contee in cui la storia e la vita quotidiana si accavallano, s’intessono con le leggende che formano la parte vitale, l’anima vera e propria del romanzo. Gli stessi personaggi si incastrano uno nell’altro come tanti segmenti che via via si sommano e come una serie di accordi vanno a formare una sinfonia. E’ questa la ricchezza del racconto: c’è posto per tutta la gamma delle possibili azioni umane, dalla lotta per la pura e semplice sopravvivenza nella lunga, intensa sequenza degli uomini imprigionati nella spedizione della prateria alle colte letture del giudice Coutts, che è un esegeta di Marco Aurelio. Anche Louise Erdrich sembra essersi essersi ispirata ai suoi Pensieri: “Guarda sotto la superficie: non lasciarti sfuggire la qualità o il valore intrinseco delle cose”. C’è posto per tutto, ironia compresa, perché Louise Erdrich ha questa straordinaria capacità di conservare uno spunto di comicità anche nelle condizioni più drammatiche o enigmatiche. C’è una lunga scena in cui due dei principali protagonisti, Geraldine e Joseph, pescano una grossa tartaruga che merita da sola il prezzo da pagare per Il giorno dei colombi. Li ritroveremo entrambi in La casa tonda con cui Il giorno dei colombi s’inanella in modo spontaneo, “camminando sull’aria”, formando una specie di flusso ipnotico: nelle sue molteplici forme (simbolica, onirica, metaforica) è uno splendido tentativo di mettere ordine nel caos della vita, e capita soltanto con la grande letteratura.

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