Anche a un passo dall’apocalisse, William T.
Vollmann sa essere pungente, ironico, amaro e nello stesso tempo preciso,
dettagliato, nitido. All’indomani del terremoto e dello tsunami che hanno
sconvolto la costa orientale del Giappone, i reattori danneggiati della
centrale nucleare di Fukushima cominciavano a emettere radiottività in misure
significative. Con l’intenzione di affrontare “una storia di cose che quasi non
riusciamo a credere, tantomento a comprendere”, William T. Vollmann non esita
ad affrontare il viaggio verso la Zona proibita, munito solo di un
minuscolo dosimetro (lo strumento per misurare la radioattività, e come se lo
procura è già una storia a sé a partire dallo scoppietante incipit), di alcune
rudimentali protezioni e di un paio di pesanti handicap. Il primo è la lingua,
a cui supplisce con l’inevitabile interprete e una concreta dose di umiltà. Il
secondo è che, essendo americano, si porta dietro il rimorso storico di aver
inaugurato, proprio in Giappone, l’era (e la paura) atomica. Nel “picaresco
vagabondare di un dosimetro”, come lo chiama William T. Vollmann, si intuisce
subito che la condivisione delle responsabilità è limitata, se non proprio
impossibile perché “la sbalorditiva capacità delle autorità giapponesi di non
dire assolutamente nulla è pari solo all’assurdo grado di fiducia che
l’opinione pubblica ripone in esse; mentre la cinica diffidenza dell’elettorato
americano fa il paio con la compiaciuta e, talvolta, spudorata disonestà delle
corrispettive autorità”. Questa è la prima distinzione, la più urgente, che
delinea la Zona proibita, poi il breve ed essenziale saggio spiega con frasi dai
contorni chirurgici che le certezze atomiche si reggono sulla casualità e
sull’indeterminatezza dei tempi di smaltimento dei residui. Le centrali sono
costruite al massimo grado possibile di sicurezza, ma poi c’è sempre la
possibilità di un evento di “classe nove”, come lo chiamano le autorità
giapponesi, ed è l’imprevedibile che genera mostruosità come Three Mile Island,
Chernobyl e, appunto, Fukushima. D’altra parte, come fa notare William T.
Vollmann, “le scorie nucleari radioattive devono essere immagazzinate e
custodite per periodi che eccedono in maniera esorbitante la cornice di
riferimento di qualunque civiltà”. A quel punto il viaggio verso la Zona
proibita
si ferma: il dosimetro comincia a mandare segnali d’allarme, al silenzio delle
macerie non si può aggiungere altro e la conclusione di William T. Vollmann è
lapidaria: “Se l’interesse presente ci chiede di consumare quantità sempre crescenti
di energia, qualunque modo pericoloso per produrre energia può essere accettato
come necessario. Sul piano pratico, un cittadino giapponese (o americano) non
ha il potere di impedire la costruzione di centrali nucleari. Leggendo questa
storia, però, provate a pensare a quante altre volte vorreste assistere al
disastro del reattore di Fukushima. Se doveste voler venire dalla mia parte,
considerate di collocarvi sopravento”. Molto acuto.
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