E’ interessante il continuo lavoro di ricostruzione del
passato, l’utilizzo della scrittura come strumento per riformulare la lettura
di una biografia, di una storia, di una vita, la sua in particolare. Il ritorno
all’infanzia a fragili increspature dei ricordi, a nodi di legami intrecciati,
aggrovigliati in immagini senza cornici è celebrato da Patti Smith assecondando
cicli regolari perché è quel momento inafferrabile in cui “vaghiamo nella vita,
castoni senza pietra. Finché un giorno non prendiamo una svolta ed eccola lì a
terra davanti a noi, una goccia di sangue sfaccettato, più reale di un
fantasma, sfolgorante. Se ci muoviamo, rischierà di sparire. Se non agiamo,
nulla sarà redento. C’è un modo per risolvere questo piccolo enigma. Dire la
propria preghiera. Non importa in che modo. Perché una volta finito si
possiederà l’unico gioiello che valga la pena di conservare. L’unica gemma
degna di essere regalata”. E’ lei la principale tessitrice di sogni che propaga
attraverso una scrittura dalla forma mutevole e impalpabile le suggestioni
della memoria e dell’emozione scardinata dal tempo e dalla vita. In
prospettiva, comincia tutto con I tessitori di sogni, un piccolo libro che
viene dal passato e da un frangente molto delicato dell’esistenza di Patti Smith,
coinvolta in una conduzione famigliare difficoltosa, in un primo, timido
comeback con Dream Of Life e con il marito Fred Sonic Smith avviato lungo un doloroso
crepuscolo (morirà tre anni dopo la prima pubblicazione di I tessitori di
sogni).
Nei rari momenti di tranquillità, Patti Smith si rifugiava in un angolo incolto
e selvaggio del suo giardino per lasciarsi avvicinare dal soffio dell’arte,
dell’ispirazione, della bellezza da “una di quelle cose inesplicabili. Perché è
una modalità in cui si entra senza aspettative o finalità. Quando, persi nei
propri pensieri, si sente un colpetto sulla spalla e ci si ritrova scagliati
lontano, in un turbine di polvere, sballottati e frenati di colpo”. Anche se
nella rilettura e nella scrittura degli anni successivi quel periodo sarà di
volta in volta reinterpretato e circondato da una luce più morbida e sfocata,
la sincerità di Patti Smith emerge in queste pagine come “un folle patchwork di
verità, di quelle selvagge e caotiche, che non hanno quasi nulla a che fare con
la verità”. I suoi piccoli rituali bucolici, il minuscolo taccuino da riempire
con “attenzione” e “accortezza” nel tentativo di “catturare qualcosa di lontano
e portarlo vicino” si risolvono in un tessuto impressionistico, a tratti
criptico, frammentario ed evanescente che però si conclude con una singolare
epifania: “Il destino ha voluto che seguissi un cammino molto lontano da quello
dei miei antenati, tuttavia i loro costumi sono anche i miei. E nei miei
viaggi, quando vedo una collina punteggiata di pecore o un bastone poggiato tra
le foglie di castagno, mi sento invadere dal desiderio di essere di nuovo ciò
che non sono mai stata”. Un fragile turning point che, da lì in poi, ha segnato
la sua vita e la sua percezione in modo indelebile.
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