mercoledì 10 luglio 2013

John Williams

Quando John Williams, all’inizio di Stoner, lascia filtrare l’idea che non c’è “nient’altro”, ovvero che c’è molto poco da raccontare, suggerisce già tutta l’essenza di un personaggio che si muove nella vita come se fosse qualcosa di inevitabile. I costanti e reiterati tentativi di William Stoner di prendere le distanze dal dolore, dalla fatica delle emozioni e dell’ambizione e di rendere la vita un fiume tranquillo, di considerarla normale quando tanto normale non è mai, sono persino commoventi. Figlio poverissimo della terra americana, William Stoner si laurea e trova la sua vocazione per la letteratura tutta nell’alveo dell’università e dell’insegnamento. Nonostante il mondo, fuori, sia nel frattempo travolto da due guerre mondiali, la sua ricerca di un ordine, limitato e monotono finchè si vuole, ma pur sempre un ordine, è tanto insistente quando votata al fallimento. Non si chiamerebbe vita, allora, e l’impossibilità della realtà diventa il vero fulcro di Stoner che prova “perfino a essere felice, di tanto in tanto” anche se è difficile, dovendo combattere ogni giorno con quell’infernale virus che sono gli altri. Tra i protagonisti che irrompono nella routine quotidiana di Stoner, vanno annoverati almeno la moglie, Edith Elaine Boswick, con cui popola un triste matrimonio alias “un lungo armistizio, che aveva tutta l’aria di un punto morto” e il barone universitario Hollis Lomax che lo coinvolge in una ventennale faida e da lì in qualcosa che è solo “una sorta di perenne insoddisfazione”. La coincidenza della biografia di William Stoner con il romanzo è perfetta, un’identificazione totale che è possibile grazie a uno stile asciutto, pulito, preciso nei dettagli fino all’ossessione. E’ evidente che John Williams è uno scrittore di livello superiore, in grado di siglare un classico come è a tutti gli effetti Stoner ed è altrettanto chiaro che il suo rifugiarsi nella lettura e nella scrittura ha qualcosa di famigliare perché la realtà non poi così interessante e perché anche per William Stoner “la serenità tanto agognata andava in mille pezzi appena realizzava quanto poco tempo aveva per leggere tutte quelle cose e imparare quello che doveva sapere”. Non appare casuale che l’unico personaggio con cui sviluppa un minimo di empatia sia Katherine Driscoll, sua amante e appassionata letterata dato che con Stoner “l’amore per la letteratura, per il linguaggio, per il mistero della mente e del cuore che si rivelano in quella minuta, strana e imprevedibile combinazione di lettere e parole, di neri e gelidi caratteri stampati sulla carta, l’amore che aveva sempre nascosto come se fosse illecito e pericoloso, cominciò a esprimersi dapprima in modo incerto, poi con coraggio sempre maggiore. Infine con orgoglio”. Come scrive Peter Cameron nella sentita postfazione di Stoner, non ultimo svelando il suo vitale paradosso: “Ecco uno dei regali che dobbiamo all’arte: la sensazione che non tutto è perso, che alcune cose restano perfette e inviolabili”. E’ proprio l’anima di Stoner. Essenziale.

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