La disinvoltura, ironica e divertita, con cui Victor Gischler infila un cliché dopo l’altro, giocando a infilare citazioni e riferimenti, a volte espliciti, altre meno diretti, è l’elemento trainante di una scrittura senza grandi pretese, essenziale, magari anche limitata, però sempre concentrata sull’azione. In Sinfonia di piombo gli unici momenti di pausa sono quando le armi (ce ne sono per tutti i gusti) devono essere ricaricate: per il resto è un tour de force senza sosta, che si appiccica al lettore con la stessa tenacia di una gomma da masticare. Basta un piccolo prologo (dal passato, come è giusto che sia in un romanzo tutto giocato sui luoghi comuni delle promesse e dei legami di sangue) e poi si è subito travolti da un tourbillon di inseguimenti, sparatorie, colpi bassi, esplosioni e incendi. Le contorsioni della trama sono relative: la Sinfonia di piombo comincia perché Andrew Foley, insieme ad altri due scapestrati, si sofferma un attimo più del dovuto alla fine di una missione per conto terzi. Dovevano soltanto spostare un container clandestino, tra le banchine di New York, e sparire. Un lavoro da niente, fatto in un attimo, senza problemi, e così si fermano a bere una birra, convinti che il container sia pieno della solita roba. Invece no: con il primo botto di Sinfonia di piombo dalla ferraglia esce una persona che non avrebbero dovuto vedere. Da manovali diventano testimoni, parecchio scomodi. Contratti vengono passati di mano in mano e i primi due della lista vengono eliminati in un diluvio di piombo da Nikki Enders, una professionista sull’orlo di una crisi di identità. Andrew Foley è un caso a parte: suo padre, Dan, e lo zio Mike, molti anni prima erano i killer (irlandesi) più efficienti della città. I due fratelli non erano legati soltanto dalla famiglia e dalla comune propensione all’omicidio, ma anche da un patto indissolubile, un’associazione di mutuo e reciproco soccorso, una promessa da mantenere a tutti i costi. Il preludio della Sinfonia di piombo è che Mike Foley vive nel rimpianto di aver abbandonato il fratello, trasferendosi in the middle of nowhere, da qualche parte nell’Oklahoma, a produrre vino che non assaggia nemmeno. Quando Andrew lo raggiunge, in cerca di rifugio, le voci di antichi fantasmi tornano a farsi sentire perché, come dice Mike Foley, tu puoi anche provare a dimenticarti di loro, ma non è detto che loro si dimentichino di te. Anche nella famiglia di Nikki Senders i killer hanno un peso non relativo nell’albero genealogico, a partire da mamma (micidiale anche con gli aghi da maglia) per finire con il papà (un veterano saltato per aria in Afghanistan all’epoca dell’invasione sovietica) per finire con le due sorelle, altrettando devastanti e micidiali. Fossero finiti qui, i personaggi: la scorta di Victor Gischler sembra infinita e per quanto le apparizioni di alcuni di loro siano appena appena fugaci, c’è sempre un tratto colorito che si nota subito, tra i fuochi d’artificio una ballata di Johnny Cash e Wagner (come è inevitabile in ogni Sinfonia di piombo che si rispetti). Tempo di lettura: una sera d’estate, due birre (meritate).
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