lunedì 13 giugno 2011

Don DeLillo

La storia dell’amore tra Lee Oswald, il più famoso caprio espriatorio nella storia della civiltà occidentale, e la moglie Marina è il primo strato di un romanzo che si sviluppa per accumulo e sedimentazione. Partendo proprio dagli aspetti più intimi e personali della biografia del principale protagonista dell’omicidio di JFK, Don DeLillo spalma Libra su più livelli. Il primo è una lettura delle teorie della cospirazione molto lucida e pertinente che parte da un assunto elementare enunciato così da Don DeLillo: “C’è qualcosa che non ci dicono. Qualcosa di cui non siamo a conoscenza. C’è qualcosa di più. C’è sempre qualcosa di più. E’ di questo che è fatta la storia. E’ la somma totale di tutte le cose che non ci dicono”. La costruzione stessa della personalità di Lee Oswald, un moltiplicarsi di contraddizioni e di passaggi oscuri è una rete in cui è facile rimanere impigliati nel vagheggiare di dietrologie, ma come ha detto Don DeLillo in un’intervista con Fernanda Pivano: “In realtà il complotto mi importava soprattutto per inserire nel libro un elemento di violenza e di inesplicabilità, di imprevedibilità del pericolo moderno, la situazione di gente che vive al limite del terrore in un mondo che ha perduto il senso di una realtà coerente”. Qui si accede ad un piano più inclinato: Lee Oswald “si sentiva parte di qualcosa che scorre giù per il mondo” e l’epigrafe di Libra è la sua personale versione dell’americana e costituzionale ricerca della felicità: “La felicità non si fonda su noi stessi, non consiste in una piccola casa, nel prendere e nel ricevere. La felicità è partecipare a quella lotta dove non esiste confine fra il nostro mondo personale e quello degli altri”. Scegliere una causa e comprare un’arma collimano quell’idea di democrazia che vale “il diritto di appartenere a una minoranza senza essere soppresso”. Quando Lee Oswald si trova nel posto sbagliato al momento giusto il suo diario, la sua biografia, i suoi ascendenti (Libra è il suo segno zodiacale) collassano con l’ambizione di entrare nella storia, di lasciare un segno indelebile del proprio passaggio terreno perché “avvenimenti potenti generano un sistema proprio di incoerenze. I fatti semplici eludono il riconoscimento di autenticità”. Minuscolo granello in un misterioso turbinìo di tossin storiche, Lee Oswald viene rivelato da Don DeLillo nella cornice del più emblematico loser e, come tale, diventa un modello, se non proprio un archetipo di un fallimento che ha nel culto delle Colt e delle Smith & Wesson la sua espressione di fede, così come si legge nella conclusione di Libra: “Dopo Oswald, agli uomini in America non viene più richiesto di condurre una vita di calma disperazione. Fai domanda per una carta di credito, compri una pistola, giri per la città, i sobborghi e le strade dei negozi, anonimo, anonimo, in cerca dell’occasione per sparare al primo volto famoso, paffuto e vuoto, solo per fare sapere alla gente che lì fuori c’è qualcuno che legge i giornali”. Un manuale di sopravvivenza.

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